24 maggio 1989: a Barcellona il Milan riscrive la storia

Doppiette di Gullit e Van Basten: al termine di un cammino europeo turbolento ma esaltante, trent’anni fa il Milan di Sacchi piega con quattro reti la Steaua Bucarest e trionfa in Coppa dei Campioni

di Stefano Ravaglia

Arrigo Sacchi, prima di entrare in campo, guardò Franco Baresi seduto davanti a lui nello spogliatoio. “Franco, come ti senti?”: il capitano già di mille battaglie, alzò gli occhi: “Me la sto facendo addosso”.

Novantamila persone là fuori, sulle gradinate di cemento del Camp Nou. Quando poche ore prima il pullman del Milan era arrivato, il pullman con a bordo la carovana rossonera dovette fendere una folla immensa, disumana, travolgente. E sempre Baresi aveva chiesto: “Ma chi glielo dice a questi se perdiamo?”. 24 maggio 1989, trent’anni fa tondi. Il punto più alto, o forse il punto di partenza, dell’internazionalità del Milan. Che oggi è certamente andata smarrita (niente Champions League dal 2014, magre figure in Europa League) e vive un po’ sbiadita nei ricordi di chi era a Barcellona. Perché quando un tifoso milanista nomina la città catalana, essa assume un unico significato: Milan-Steaua Bucarest 4-0, finale, anzi, finalissima di Coppa dei Campioni.

Il Milan ci era arrivato, pur consapevole della propria forza, non con poche difficoltà: superato il Vitocha (2-0 in Bulgaria, Virdis e Gullit, 5-2 a San Siro con Van Basten che fa addirittura poker), i turni facili erano già finiti. La Stella Rossa di Belgrado rappresentava già un banco di prova importante e infatti a Milano Stojkovic impatta il gol di Virdis e finisce 1-1. In Jugoslavia, il 9 novembre 1988, serve una bella impresa, anche perché, così parlò Sacchi anni dopo, “il loro allenatore aveva capito tutto”. Aveva capito che quel Milan giocava in un modo nuovo, diverso, sfrontato, aggressivo e voleva fare la partita dovunque. Non sappiamo la storia meteorologica di Belgrado, ma pare che, fino a quel momento, mai la nebbia si fosse impossessata della città. Lo fece proprio quel 9 novembre: sull’1-0 per i padroni di casa, rete di Savicevic (vi dice nulla?), il Milan annaspa. Virdis viene espulso e Sacchi se lo ritrova negli spogliatoi all’intervallo, con sua grande sorpresa. Non si vedeva proprio nulla, nemmeno il cartellino rosso dell’arbitro.

Non si può più andare avanti, per fortuna del Milan, e la partita si recupera il giorno dopo. Un telex dell’Uefa annuncia la squalifica di Virdis e Ancelotti (ammonito), seppur la partita non fosse proseguita. Gullit, alle prese con grossi problemi fisici, fa un tentativo di riscaldamento addirittura nel corridoio dell’albergo. Si gioca e stavolta c’è il sole: Donadoni rischia la vita per uno scontro aereo in cui si rompe la mascella, Van Basten porta in vantaggio i suoi e ancora Stojkovic pareggia. Il direttore di gara, il tedesco Pauli, non vede un clamoroso autogol dei padroni di casa. Palla di là di almeno due metri: oggi non sarebbe possibile grazie alla tecnologia. Si va ai rigori. Galli ne para due e Rijkaard segna quello decisivo: Milan ai quarti con miracolo. Altro gol non visto a Brema, contro il Werder, battuto da un rigore di Van Basten a Milano.

La semifinale è in realtà una finale anticipata. Se l’allenatore della Stella Rossa aveva capito, Beenhakker invece, tecnico del Real Madrid, non ci capisce nulla per 180 minuti. Il 5 aprile a Madrid per ventuno o ventidue volte gli spagnoli finiscono in fuorigioco. Non c’è due senza tre e gol annullato a Gullit, anche questo regolarissimo, al termine di una azione splendida dei rossoneri. Poi, il volo di Van Basten: su cross di Tassotti non si capisce come l’olandese colpisca il pallone a un metro da terra. Torsione incredibile, schiena di Buyo e 1-1. Il Real era infatti aveva avuto l’arroganza di passare addirittura in vantaggio dopo una partita vissuta nella sua metà campo. Il Milan conclude la partita con un’ultima azione dove Baresi e Rijkaard, in pratica i due difensori centrali, sono i più avanzati e vanno vicino al 2-1.

Il 19 aprile a San Siro piove. Tante mantelline gialle puntellano le tribune, in curva non passa uno spillo e nel frattempo è accaduta una grande tragedia: a Hillsborough 96 tifosi del Liverpool sono morti schiacciati dalla calca all’ingresso prima della semifinale di FA Cup contro il Nottingham Forest. A un certo punto, l’arbitro ferma il gioco per un minuto di silenzio: “You’ll never walk alone” si alza dalla curva sud e uno dei responsabili del tifo del Liverpool in Inghilterra, manderà una nota di ringraziamento: “Un gesto che non dimenticheremo mai”. Sì, ma, la partita? Berlusconi lo aveva detto prima ai microfoni: “Si cerca la goleada”. E goleada sarà: Ancelotti, Gullit, Rijkaard, Van Basten e Donadoni. Cinque a zero. Il Real che in Spagna faceva incetta di campionati e aveva eliminato Napoli e Inter dalle coppe nel recente passato, prende ciò che gli spettava all’andata. Ancelotti poi, che segna il primo gol, è il sostituto di Evani, che si rompe un piede in allenamento per via di una energica entrata del giovane Demetrio Albertini. Sacchi decide di premiare la persona e non il giocatore, poiché non era certo Ancelotti che poteva somigliare ad Evani nell’economia del gioco. Scelta ancora una volta azzeccata e tutti a Barcellona. Dove i tifosi rossoneri si riversano in massa: pullman, treni, auto, navi, addirittura qualcuno in moto o in camper.

Il Milan non gioca una finale di Coppa dei Campioni da vent’anni esatti: 1969, 4-1 all’Ajax, sempre in Spagna, a Madrid. Il regime all’est non permette la presenza dei tifosi rumeni, lo stadio è enorme e Paolo Taveggia, mitico direttore organizzativo del Milan, si fa in quattro per recuperare ancora più biglietti per i tifosi. Sarà una cornice unica: tutto lo stadio è rossonero. Arrigo Sacchi estrapola dalla “Gazzetta dello sport” un articolo di Gianni Brera in previsione della finale: “Il Milan deve chiudersi e uccellare gli avversari in contropiede”. Il tecnico romagnolo chiede ai suoi cosa ne pensano e capisce che non ha lavorato due anni invano quando Gullit si alza e dice: “Li attaccheremo dal primo all’ultimo minuto”. Così sarà.

E’ addirittura quasi fin troppo facile: 3-0 all’intervallo con l’uomo con le treccine che si dà alla doppietta e in mezzo uno stacco imperiale di Van Basten su cross al millimetro di Tassotti. Il 4-0 ancora di Van Basten al primo minuto del secondo tempo serve solo ad arrotondare. Sulle stesse pagine della rosea, Gianni Brera sarà ulteriormente smentito da un titolo che non lascia spazio a interpretazioni: “Così si gioca soltanto in paradiso”. Sacchi vuol dire basta, “un anno e smetto”, dirà sempre ad ogni presidente che lo assume in panchina sin dai tempi del Rimini. E invece va avanti. E vincerà ancora nel nome della bellezza e dello spettacolo.

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