Anfield e le italiane: metti una serata nel tempio del football

Genoa, Juventus, Inter, Napoli, ma anche Udinese e Fiorentina. A Liverpool sono passate tante italiane, con alti e bassi

 

di Stefano Ravaglia

 

Scrivo mentre il Torino, in questi minuti, è impegnato nel confronto amichevole contro il Liverpool di Klopp. E così, guarda un po’, dal nulla cerco di fare il conto di quante volte le italiane siano passate di là, così a memoria. Devo mettere in fila i precedenti, e ci riesco. Si possono giocare mille partite e fare tante battaglie in teatri diversi, dai più piccoli stadi sperduti in chissà quale angolo d’Europa, alle grandi recite sui palcoscenici più importanti del continente. Ma diamine, non si può ottenere una laurea se non si rilascia prima l’esame più importante: Anfield, Liverpool, Merseyside. La casa del calcio, il tempio del football dove più che andare a una partita si va a una messa laica; i gabbiani sorvolano l’acqua grigiastra del fiume, l’Albert Dock è stato rinnovato con musei e locali, il Cavern Quarter esplode di vitalità e le scalinate del Cavern Club sono sempre una discesa verso la storia dei Beatles che lì si sono esibiti 292 volte. I tempi della terrificante crisi che aveva colpito la città negli anni Settanta e Ottanta sono alle spalle. Il Torino non ha mai giocato gare ufficiali là, ma è stato seguito da circa 500 tifosi granata che a qualsiasi costo non volevano perdersi uno scatto nel settore ospiti dello stadio più famoso del mondo. Cemento ed erba che erano rimasti in mano, nel 1892, a John Houlding, un birraio molto noto in città che aveva ospitato l’Everton sullo stesso campo, perché disputasse le sue partite, pagando un affitto all’amico birraio John Orrell, coinvolto nella faccenda. I giocatori usavano il Sandon Hotel, nelle vicinanze, per cambiarsi prima e dopo il match. Poi Houlding acquista il campo e carica sull’Everton un aumento di affitto: inaccettabile per il club che trasloca a Goodison Park. In possesso dello stadio ma senza squadra, ecco che Houlding fonda il Liverpool FC: se vi recate nel museo ad Anfield, potrete vedere le prime divise della squadra, non rosse come oggi ma metà bianche e metà blu.

La prima italiana ad avventurarsi da quelle parti è l’Inter nel 1965: Bill Shankly ha preso in mano il Liverpool sette anni, portandolo dalla seconda divisione alla notorietà internazionale. Nel 1964 ha vinto il campionato e le porte europee si spalancano anche per i Reds. Ad Anfield, 3-1 per loro con le reti di Hunt, Callaghan e St John (punto di Mazzola per l’Inter), prima che al ritorno i nerazzurri ribaltino tutto vincendo 3-0 e andando poi a vincere il trofeo in casa, a San Siro contro il Benfica. Vent’anni dopo, la drammatica finale dell’Heysel, si giocava a Bruxelles e fu tutto tranne che una serata di sport. Poi, la prima, vera impresa di una italiana ad Anfield: in Coppa Uefa, nella stagione 1991-92, è il Genoa ad affrontare il Liverpool. Valeriano Fiorin da Arzegrande, provincia di Padova, porta avanti i rossoblù a Marassi. La solita bomba di Branco su punizione fa 2-0. Non ci sarebbe bisogno di faticare in Inghilterra, eppure il Genoa decide di farla grossa, con il mattatore Aguilera che fa doppietta (momentaneo pareggio di Rush, miglior marcatore della storia del Liverpool) e dà il titolo alla ‘Gazzetta dello Sport’ del giorno dopo: “Genoa nella storia”. Il miglior modo per rovinare il centenario al Liverpool, nato proprio il 18 marzo 1892 per opera di quel birraio.

Dodici mesi prima di quel drammatico Juve-Liverpool invece, era iniziata la lunga saga dei Reds contro la Roma. All’Olimpico la squadra allenata da Paisley aveva vinto la Coppa dei Campioni ai rigori, e a cavallo tra il 2000 e il 2002 affronterà di nuovo la Roma per quattro volte. In Uefa, in casa della formazione di Capello, Michael Owen con una doppietta stende la Roma. Sul Mersey finisce 1-0 per i giallorossi con un gol di Guigou, e Garcia Aranda, l’arbitro spagnolo, nega un rigore agli ospiti che aveva dapprima concesso. Quell’impresa della Roma riuscita solo a metà, comunque, ha ancora più valore oggi, se si pensa che il Liverpool quella stagione vinse cinque trofei: Coppa di Lega, FA Cup, quell’edizione della Uefa e la Supercoppa Europea in estate contro il Bayern Monaco. L’anno successivo, in Champions League, 0-0 a Roma e 2-0 ad Anfield, reti di Litmanen, ex Ajax, ed Emil Heskey. Nel 2005, dopo vent’anni esatti, la sfida tra Juventus e Liverpool è carica di significati. Ad Anfield, la Kop innalza una scritta: “AMICIZIA”. Nel settore ospiti bianconero, non la pensano allo stesso modo. Juventus eliminata: 2-1 per i rossi e 0-0 a Torino. Arriveranno sino in finale e scriveranno una pagina epica del pallone d’ogni tempo con la rimonta sul Milan a Istanbul.

Ancora l’Inter nel 2008, ottavi di Champions League: 2-0 per gli inglesi e al ritorno la rimonta del ’65 non si avvera, vincono ancora gli uomini di Benitez per 1-0 con una rete di Torres. Il riscatto italiano però arriva con chi non ti aspetti: Fiorentina e Udinese. I viola scendono ad Anfield in Champions League nel dicembre 2009, dopo aver vinto in casa 2-0 a fine settembre. Prandelli, con una formazione rimaneggiata, passa all’ultimo minuto con Gilardino dopo il vantaggio di Benayoun e il pareggio di Jorgensen. Ancor più clamorosa l’impresa dei bianconeri nella stagione 2012-13 in Europa League. Sotto per un gol di Shelvey, Di Natale pareggia nella ripresa e grazie a una autorete i friulani vanno addirittura avanti e servono anche il 3-1 con Pasqual. Finisce 3-2 per effetto del gol di Suarez, ma la vittoria consente alla squadra di Guidolin di iscrivere il suo nome tra le poche squadra di casa nostra ad aver vinto lassù. Non ce la fa il Napoli, invece, nel 2010 sempre in Europa League, sconfitta per 3-1. Il resto è storia recente, con la Roma eliminata in semifinale lo scorso anno. E nel frattempo, anche il Torino chiude sconfitto: un altro 3-1. Ma siamo convinti e che i 500 granata al seguito si siano ugualmente divertiti. La Mecca del pallone val bene una gita: almeno una volta all’anno, come fosse una religione, bisogna andarci, ad Anfield. L’ombelico intorno a cui gira tutto il pallone del mondo.

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