La Champions delle troppe ombre: 1993 l’anno in cui il trionfo dell’OM di Tapie divenne un incubo

Dai fasti europei alla retrocessione in pochi mesi: l’incredibile parabola dell’Olympique Marsiglia, passato dalla vittoria della prima Champions League allo scandalo che travolse Bernard Tapie.

LA CADUTA DEGLI DEI

Trenta anni fa, l’Olympique Marsiglia era una delle squadre di calcio più forti del continente e, dopo essere stata sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni del 1991 ai calci di rigore contro la Stella Rossa a Bari, vinse il rinominato trofeo della Champions League grazie al gol di Basile Boli contro un Milan leggendario.

Il successo del club marsigliese è dovuto principalmente a un uomo: Bernard Tapie, imprenditore, politico e attore, il cui nome rimarrà indissolubilmente legato alla società di cui è stato presidente dal 1986 al 1994. A lui si deve l’ingaggio di grandi nomi del calcio francese e mondiale, come Jean-Pierre Papin, Pallone d’Oro nel 1991, Abedi Pelé, Pallone d’Oro africano nel 1991, 1992 e 1993, Didier Deschamps, Marcel Desailly, Fabien Barthez, Jocelyn Angloma, Franck Sauzée, Enzo Francescoli e Chris Waddle. Avrebbe voluto con sé anche Diego Armando Maradona, ma non riuscì riuscito a strapparlo al Napoli di Ferlaino nonostante la volontà del fuoriclasse argentino.

Il più grande trionfo del Marsiglia venne oscurato dalla possibilità di assicurarsi in modo poco pulito il quinto titolo consecutivo della ex Division 1 in modo agevole, danneggiando il Paris Saint-Germain e l’AS Monaco, pronte a spezzare il dominio interno dell’era Tapie. La partita contro il Valenciennes che lottava per non retrocedere quattro giorni prima della finale di Champions League è stata, da una parte, uno svantaggio per il Marsiglia, la cui preparazione per la grande partita ne avrebbe decretato la fine del dominio europeo e francese.

Una squadra che avrebbe potuto finire per essere considerata una delle più grandi di sempre venne invece macchiata per sempre, poiché la giustizia francese accertò velocemente la loro condotta. Vennero incarcerati Tapie, il direttore generale Jean-Pierre Bernes e il centrocampista Jean-Jacques Eydelie. L’era Tapie al Marsiglia era così finita per sempre. Una storia destinata a essere ricordata più per l’infamia che per la gloria.

LA SFIDA

Bernard Tapie, deceduto all’età di 78 nell’ottobre del 2021, era un visionario. Ex cantante e attore con il film “Uomini e donne – Istruzioni per l’uso” del 1996, aveva fatto fortuna risanando aziende fallite. Deputato del Partito Socialista francese, nonché patron dell’Adidas, Tapie gestì a suo modo il Marsiglia per otto anni, dal 1986 al 1994, prima del celeberrimo scandalo che, di fatto, mise fine alla sua avventura nel mondo del calcio.

Quando Gaston Defferre, sindaco di Marsiglia, gli offrì la squadra di calcio cittadina in crisi, accettò immediatamente. Non capiva di pallone, ma fiutava il talento. Quella squadra, assemblata con pragmatismo visionario, incarnò lo spirito di rivalsa di Marsiglia, giocando un calcio folle ed entusiasmante. Investì subito milioni, portando nello Stade Vélodrome un gruppetto di stelle come Jean-Pierre Papin, Karlheinz Forster e Klaus Allofs, i primi grandi acquisti ad arrivare, che garantirono del primo titolo del Marsiglia dopo 17 anni.

Fu nell’estate del 1989, tuttavia, che riuscì a farla diventare una formazione di caratura europea, acquistando Didier Deschamps, Enzo Francescoli e Chris Waddle, tutti elementi che contribuirono al secondo trionfo in campionato, ma l’uscita in semifinale di Coppa dei Campioni contro il Benfica per via un controverso gol di mano del subentrato angolano Vata, frenò la prima vera sfida al Milan nella finale di Vienna. “Imparo in fretta”, inveì Tapie al termine della partita. “Non ci succederà più”.

Una deludente sconfitta contro la Stella Rossa Belgrado nella finale di Champions League a Bari dell’anno successivo, tuttavia, sembrò rafforzare la sua determinazione nonostante l’eliminazione con lo Sparta Praga nel turno preliminare la stagione successiva, quella del ’93, quando vinse la prima Champions League. Sembrava l’inizio di un’era leggendaria, invece, quattro giorni dopo, lo scandalo travolse tutto. In sette anni, con una campagna acquisti faraonica, creò un dream team. Tutto ciò che toccava si trasformava in oro o veniva venduto.

Ma il suo regno carico di trofei come presidente del club culminò in uno scandalo di partite truccate che macchiarono per sempre la sua reputazione. Nonostante l’enorme iniezione di fondi del Qatar pompati nel Paris Saint-Germain, il Marsiglia rimane tutt’ora l’unica squadra francese a vincere la Champions League.

LA STRADA VERSO MONACO

Nel 1993, la quarta vittoria consecutiva in Ligue 1 che aveva eguagliato il precedente record della Prima Divisione francese, stabilito dal Saint-Étienne quando ne vinse quattro di fila tra il 1967 e il 1970, valse al Marsiglia un posto nella neonata Champions League.

Dopo aver superato Glentoran e Dinamo Bucarest, l’OM trovò Rangers, CSKA Mosca e Club Bruges nel girone. Quattro punti nelle prime due gare lanciarono i marsigliesi in testa. A marzo, il CSKA perse per 6-0 col Marsiglia in una gara che a molti non sembrò rispecchiare i reali valori in campo. I russi avevano eliminato il Barcellona nei primi turni e successivamente l’allenatore Gennady Kostylev dichiarò che dirigenti anonimi dell’OM gli avevano offerto denaro per perdere. Le accuse furono poi smentite, ma il seme dello scandalo era piantato.

C’era in ballo la qualificazione per la finale di Monaco in un testa a testa con gli scozzesi dei Rangers Glasgow e per assicurarsela dovevano vincere nell’ultima partita a Bruges. Bokšić, approfittando di un errore difensivo belga, segnò il gol della vittoria dopo soli due minuti e i belgi non riuscirono a concretizzare nessuna minaccia in attacco. Al fischio finale, i Rangers vennero eliminati, dopo aver pareggiato a reti inviolate contro il CSKA. Anche lì girarono voci di combine, prontamente liquidate dall’OM, ma nell’ombra, la verità iniziava a intravedersi.

Intanto, restava il campionato da vincere in trasferta, per poi preparare con serenità la finale col Milan. Quella contro il Valenciennes, quattro giorni prima, fu la trappola letale a sei giorni dalla sfida con i temuti rossoneri. Il Valenciennes lottava per la permanenza nella massima serie francese e Tapie non voleva che i suoi giocatori dovessero sforzarsi troppo, quindi ordinò a Jean-Jacques Eydelie di contattare alcuni suoi ex compagni di squadra.

Eydelie, successivamente, descrisse cosa era successo nel suo libro, pubblicato nel 2006 e sul quale Tapie ha tentato senza successo di fargli causa.

“Bernard Tapie mi ha detto: ‘È un ordine che tu ti metta in contatto con i tuoi ex compagni di squadra del Nantes ora al Valenciennes. Non vogliamo che si comportino da idioti e ci rompano prima della finale con il Milan. Li conosci bene?”.

E come per magia la trasferta a Valenciennes si concluse per 1-0 in favore dell’OM contro avversari sorprendentemente poco brillanti e che permise loro di vincere il titolo a discapito di PSG e Monaco.

Credit: bienpublic.com

A metà tempo durante la partita, il giocatore del Valenciennes Jacques Glassmann aveva confidato all’allenatore Boro Primorac che gli erano stati offerti dei soldi per “alzare il piede” da Eydelie, suo ex compagno al Nantes. Emerse che anche ad altri giocatori, Jorge Burruchaga e Christophe Robert, erano stati offerti dei soldi. Venne poi accertato dalla giustizia francese che la moglie di Robert, la sera del 19 maggio 1993, aveva letteralmente preso una busta di banconote dal parcheggio dell’hotel dove alloggiava la squadra del Marsiglia.

Successivamente una busta con la somma di 250.000 franchi venne ritrovata sepolta nel giardino della suocera del calciatore. “Quel denaro puzzava così tanto che dovevo seppellirlo”, ha dichiarato Robert in seguito.

IL TRIONFO E LA CADUTA

La finale di Champions League della stagione 1992/1993 fu storica per una serie di motivi. Per la prima volta, si chiamava così invece di “Coppa dei Campioni” e per la prima volta, si giocò nella Germania unita dopo la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1991.

Questa volta, però, i marsigliesi dovevano affrontare il Milan, un gigante del calcio italiano del calcio europeo e con un presidente come Silvio Berlusconi che dal suo ingresso nel 1986 aveva innovato il gioco del calcio. All’epoca presidente della Finivest, non ancora sceso in politica, aveva conquistato la Coppa dei Campioni già in due occasioni precedenti e la sua squadra era nettamente favorita dopo un percorso fatto di otto vittorie su otto partite e con un gol subito.

A quel tempo, il Milan era invincibile sotto la gestione di Fabio Capello e vantava tra le sue fila nomi come Marco Van Basten, Frank Rijkaard, Paolo Maldini e Franco Baresi. Era una delle poche squadre che poteva affermare di avere tante stelle nella propria squadra quante ne vantava il Marsiglia che poteva contare su Marcel Desailly e Basil Boli in difesa, Didier Deschamps a centrocampo, Alen Boksic e Rudi Völler in attacco.

Arrivato a Monaco “ben riposato”, l’OM sapeva di essere sfavorito ma Tapie aveva un sogno da realizzare e una città da rendere orgogliosa. Perché aveva giurato che quella Coppa sarebbe stata loro, costi quel che costi. E quando la sua creatura scendeva in campo, sapeva solo lottare. A qualunque prezzo.

I primi minuti di quella finale furono una battaglia tra due squadre che pressavano in modo forsennato e che applicavano un esasperato fuorigioco. La difesa di Goethals composta da Desailly, Boli e Jocelyn Angloma fece gli straordinari per inibire Van Basten e l’inafferrabile Daniele Massaro, con Fabien Barthez a fare una serie di parate decisive. Sulle fasce, Gianluigi Lentini e Roberto Donadoni saltavano regolarmente Eydelie ed Eric Di Meco. Per 40 minuti i rossoneri dominarono i francesi in difficoltà, fino a quando scoccarono i 42 minuti sul cronometro e il Marsiglia ricevette un calcio d’angolo dopo una corsa impetuosa di Abedi Pelé.

Il ghanese, considerato da molti uno dei migliori calciatori africani di tutti i tempi, riuscì a sferrare una feroce parabola che venne deviata di testa da Boli sul primo palo. Il portiere Sebastiano Rossi rimase immobile mentre la palla volava nell’angolo della rete.

“È stato un colpo di testa per l’eternità”, avrebbe poi dichiarato il difensore centrale francese.

Nella ripresa il Milan non riuscì a concretizzare altre occasioni e al fischio finale, Tapie balzò in campo, andandosi a prendere quella coppa tra i volti esultanti dei giocatori. Questo, voleva far intendere, era il suo trionfo tanto quanto quello dei giocatori.

“Eravamo assolutamente sicuri di vincere, nessuno di noi aveva dubbi”, si è vantato. “Avevamo forse una squadra migliore, ma nel 1993 avevo 11 giocatori pronti a morire l’uno per l’altro”.

Lo spirito di squadra non era l’unica cosa che contava per loro, come poi si venne a scoprire molto presto. Oltre alle buste come strumento a disposizione di successo, dalla testimonianza di Eydelie si venne a scoprire che i giocatori del Marsiglia avevano ricevuto “iniezioni sospette” pochi giorni prima della partita contro il Milan.

“L’unica volta che ho accettato di prendere un prodotto dopante è stato nella finale di Champions League del 1993”, ha ammesso.

“In tutti i club in cui ho giocato, ho visto del doping… ma questa è stata l’unica volta che ho accettato. Tutti abbiamo fatto una serie di iniezioni e mi sono sentito diverso durante la partita, poiché il mio fisico ha risposto in modo diverso sotto sforzo. L’unico giocatore che si è rifiutato di partecipare è stato Rudi Völler”.

Più di un decennio dopo l’evento, c’era poco che la UEFA potesse fare se non controllare i test antidoping che erano stati condotti dopo la partita. “Quei test si sono rivelati negativi”, hanno detto in una dichiarazione congiunta il presidente della FFF Jean-Pierre Escalettes e il presidente della LFP Frederic Thiriez.

L’OM, nonostante una serie di accuse e condanne negli anni che seguirono il trionfo di Monaco in Champions League, resta nell’albo d’oro dell’Uefa come unico campione d’Europa della Francia. Tapie portò a casa la Coppa, come aveva giurato. Perché sapeva una cosa sola: vincere a ogni costo.

Quella notte, Marsiglia esultò. Sembrava l’inizio di un’era leggendaria. Invece, quattro giorni dopo, lo scandalo annebbiò ogni cosa. Il sogno dell’OM era finito.

LA FINE DI UN SOGNO

Quattro giorni dopo il trionfo di Monaco si scoprì una storia fatta di imbrogli, doping, corruzione. Avrebbe dovuto essere il coronamento della loro storia, invece, è stata una celebrazione di tutto ciò che è marcio nel mondo del pallone.

E fu così che al Marsiglia venne tolto titolo di massima serie francese vinto nel 1993, con il PSG secondo classificato che lo rifiutò rinunciando alla partecipazione alla Champions League e di competere nella Supercoppa europea con il Parma e nella Coppa intercontinentale a Tokyo contro il Sao Paulo.

Intanto, dopo il secondo posto del ’94 e la qualificazione in Coppa UEFA, questa volta il Marsiglia venne retrocesso per irregolarità finanziarie. Solo la vittoria in Ligue 2 nella stagione successiva evitò il fallimento. Da allora, un titolo francese nel 2009/2010 e due finali di Coppa UEFA/Europa League, entrambe perse con Parma e Atletico Madrid.

UN TRIONFO ETERNO, MACCHIATO PER SEMPRE

L’OM salì in cima all’Europa e visse un sogno. Sembrava l’inizio di un’era leggendaria. Oggi, il ricordo è agrodolce. Restano le parate di Barthez, le volate di Pelé, il muro eretto da Desailly.

Ma tutto è risucchiato nel vortice di crimini e inganni che portò alla città il più grande trionfo sportivo. Come spesso accade a Marsiglia, abituata alle cadute più dure, in una città dove la vita non è mai semplice e la gioia lascia il posto alla disperazione. Ma la speranza resiste: chi ha sfiorato il paradiso, non smette di crederci.

Perché è nei sogni e nella voglia di realizzarli ad ogni costo che si nasconde il segreto della sopravvivenza. A Marsiglia come altrove. Quella vittoria fatta di bugie, tangenti e corruzione avrebbe potuto uccidere la Champions sul nascere. Invece, sopravvisse: troppo denaro e gente in gioco.

Eydelie, nel frattempo, a 27 anni, vide la sua carriera stroncata sul più bello. Condannato a un anno di reclusione con sospensione della pena dopo aver scontato 17 giorni dietro le sbarre, venne bandito dalle attività calcistiche per 18 mesi e finì in club minori. Giocò anche nel Benfica, ma la sua carriera non decollo mai più e la terminò in squadre minori come Sion e Walsall.

Arsène Wenger, invece, all’epoca allenatore del Monaco, fuggì in Giappone accettando di guidare il Nagoya Grampus Eight, disgustato dai metodi di Tapie.

“Il calcio francese era in cancrena dall’interno a causa dell’influenza e dei metodi di Tapie al Marsiglia”, disse qualche anno dopo a proposito di uno dei periodi più bui della sua carriera.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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