Cuore di Iceman

42 anni fa nasceva Kimi Raikkonen, il Campione sui generis della Formula 1

17 ottobre del 1979. Gli appassionati di corse, soprattutto i tifosi del Cavallino più famoso al mondo, ricordano bene che anno, il 1979, ha rappresentato per la Ferrari.

Jody Scheckter, a Monza, riporta il titolo dopo la conquista iridata di Niki Lauda. Viene da pensare che, in fondo, quel 1979 potesse rappresentare un segno del destino di Kimi, anche se lui, con molta probabilità, non ci avrà mai dato importanza.

Perché lui è così: enigmatico, riservato, di poche parole, mai scontato o banale. Il tutto, in modo straordinariamente naturale e spontaneo. Non ha mai amato la notorietà, soprattutto i giornalisti, che nel weekend di Melbourne del 2001 in massa si sono presentati per puntargli il microfono davanti al viso e sapere tutto di lui, di un giovanotto appena arrivato nella serie dei grandi. Se avesse potuto, Kimi avrebbe corso in incognito pur di non farsi “rompere le scatole dalle domande inutili”.

Un vero e proprio Iceman. Un nomignolo frutto dell’inventiva di Ron Dennis, l’ex patron della McLaren; un nomignolo che meglio non avrebbe potuto definire la professionalità di Raikkonen: un finlandese veloce e di poche parole che fa il suo lavoro di gara in gara senza dar troppe spiegazioni.

Kimi nella sua carriera ha firmato solo un campionato, quello del 2007. La sua esperienza in McLaren la si potrebbe racchiudere in cinque anni di insegnamenti, dall’imparare un inglese fluido allo sviluppare una consapevolezza della cattiva sorte e una sopportazione del dolore.

Poi, nel 2007, il tetto del mondo. Con la Rossa di Maranello, con la quale riesce a sconfiggere il suo ex team… ma non era abbastanza. Vincere tra una spy story e una squalifica, non era abbastanza per essere considerato un degno erede di Schumacher. E così, la Ferrari a Kimi preferì Fernando Alonso.

Raikkonen non ribatté, non proferì commento in merito, quasi come per dire “sarà il tempo a parlare”. E il tempo, per davvero, parlò: con Alonso nessun titolo è stato aggiunto all’elenco della leggenda Ferrari. Una leggenda che lo avrebbe ricontattato per riaverlo e poi ricongedarlo, ma in modi e toni nettamente differenti.

E anche senza vincere un mondiale, Kimi è riuscito a regalare perle gloriose. Le ultime proprio nella sua ultima stagione Rossa, nel 2018. Charles Leclerc, dalla stagione seguente, sarebbe divenuto il nuovo scrigno di speranze vittoriose, schierandosi al fianco di Sebastian Vettel. Kimi, ora, non ha nulla da perdere. E a Monza, nel sabato del Gran Premio d’Italia, mette tutto se stesso in un giro da record. La pole position è sua.

Ma la magia, il segno del destino, il romanticismo e la nostalgia – se vogliamo – ripiombano come un boomerang il 21 ottobre di quell’anno, in Texas. Undici anni esatti dopo il suo titolo mondiale, vince ad Austin.

Tutti immaginavano che, probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima volta che Kimi avrebbe occupato il gradino più alto del podio. Forse anche per questo quella domenica, il finlandese è stato avvolto da un calore unico, più amorevole delle altre volte, nel rispetto della sua unicità.

Questo 2021 rappresenta la fine di un cerchio, una fine che forse fa più fatica ad accettare chi lo ha tifato che lui stesso. In fondo, tutto quello che poteva fare, lo ha fatto. Ed ora, continuerà a fare il papà, il marito, e l’amante dei cani. Nel nome di Iceman.

A proposito di Beatrice Frangione

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