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Formula 1 – Il senso del progresso

F1 e sicurezza: ammettiamolo, negli ultimi anni abbiamo definito i piloti ‘impiegati’ e non ‘cavalieri’ del rischio. C’eravamo illusi che dopo Imola ’94 la loro sicurezza fosse pressoché totale grazie a scocche sempre più rinforzate.

di Francesco Tassi

Ammettiamolo, negli ultimi anni abbiamo definito i piloti ‘impiegati’ e non ‘cavalieri’ del rischio. C’eravamo illusi che dopo Imola ’94 la loro sicurezza fosse pressoché totale grazie a scocche sempre più rinforzate e all’introduzione del sistema Hans (Head And Neck Support), una protezione al complesso testa-collo.

Primo errore. La tragedia di Bianchi – senza dimenticare l’assurdo incidente occorso a Maria de Villota due anni prima – a Suzuka nel 2014 ha fatto riemergere un tallone d’Achille ovvero la testa del pilota. Il tanto discusso Halo è nato per questo scopo.

’Ma cosa vuoi che succeda in pista?’

L’incidente occorso a Romain Grosjean in Bahrein è stato un compendio di fattori potenzialmente fatali: la decelerazione, il guardrail e infine il fuoco. La batteria dell’ERS sembra invece esente da colpe specifiche, contrariamente a quanto supposto fin da subito. In ogni modo un miracolo, da qualunque prospettiva si analizzi la vicenda.

Grosjolly.

Il fuoco, purtroppo, è una variabile impazzita che fa parte della Formula 1 (e del motorsport) fin dalla sua nascita. Senza dimenticare una premessa che può apparire incredibile nel 2020: i piloti ‘di una volta’ correvano vestiti in modo molto molto casual, qualcuno come Nino Farina addirittura fumava il sigaro cubano in gara.

Nel 1958 la Formula 1 non può più rimandare la questione. Pat O’Connor durante il primo giro della 500 miglia di Indianapolis – in calendario iridato dal 1950 al 1960 – e Stuart Lewis Evans nell’unica edizione svolta del GP del Marocco, muoiono a seguito di incendi.

Non abbastanza per smuovere la Federazione Internazionale dell’Automobile e allora sono i piloti a reagire per primi: Jim Clark e Graham Hill testano tute in Protex o in Proban, ovvero capi in cotone trattati con bagni di cloruro di calcio.

La protezione al fuoco dura circa 7 secondi, con l’aggravante che tali indumenti al primo lavaggio perdono le proprie peculiarità antifiamma.
Troppo poco e la Formula 1 si appresta tra i ’60 e i ’70 a versare il suo tributo più pesante al fuoco.

John Taylor si tocca con Jacky Ickx nel primo giro del GP di Germania 1966 e la sua Brabham si incendia: estratto gravemente ustionato, morirà poco meno di un mese dopo. Stesso anno e in Messico è Bruce McLaren a vedersela brutta. Cruciale è la tragedia di Lorenzo Bandini a Monaco, domenica 7 maggio 1967, avvenuta per la prima volta in mondovisione davanti a milioni di spettatori increduli e impotenti.

Il punto di svolta, proprio in quell’anno, ha un nome: Nomex, una fibra sintetica che aumenta di un solo secondo la resistenza al fuoco (8 anziché 7) ma inattaccabile dal lavaggio. Jackie Stewart, per antonomasia il pilota paladino della sicurezza, continua a sperimentare aggiungendo una sottotuta e un sottocasco (detto anche balaclava) del medesimo materiale.

La battaglia impari riprese appena un anno dopo.

Brian Redman sfiorò la morte in Belgio cavandosela con delle ustioni al viso e la rottura di un braccio. Passa nemmeno un solo mese e il 7 luglio Jo Schlesser al volante della Honda RA302 costruita con telaio in magnesio (materiale estremamente infiammabile), si schianta durante il GP di Francia: il pieno di carburante e le balle di fieno ‘protettive’ fanno il resto e lo sfortunato pilota francese non ha scampo.

L’incendio della Ferrari 312 B di Ickx a Jarama ‘inaugura’ il decennio successivo: il belga si salva e il sospiro di sollievo è corale. Non va altrettanto bene a Piers Courage che il 21 giugno 1970 in Olanda esce di pista e dopo aver urtato un terrapieno viene avvolto da un incendio talmente violento da costringere i commissari di percorso a sotterrarlo a bordo della sua De Tomaso per poter domare le fiamme.

Tocca a Siffert nel 1971 a Brands Hatch, poi il tracciato di Zandvoort è nuovamente teatro di una tragedia: quella di Roger Williamson nel 1973, che scuote le coscienze del Circus.

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Sarà solo il coraggio di Arturio Merzario ad evitare la stessa sorte a Niki Lauda nel rogo del Nürburgring il 1° agosto del 1976 mentre a Monza nel 1978 avviene un ulteriore, decisivo passo in avanti nella battaglia contro il fuoco: Ronnie Peterson viene soccorso da personale altamente specializzato, i futuri Leoni della CEA.

Negli anni ’80 la sicurezza inizia a vincere la dura battaglia, nonostante questo perdiamo proprio due alfieri nostrani, Riccardo Paletti ed Elio De Angelis, in circostanze legate al fuoco. La morte di Elio, in particolare, obbliga i circuiti impiegati per i test privati ad attenersi ai medesimi standard di sicurezza delle gare.

Quanto accaduto ad Imola nel 1989 non è solo storia ma anche case history: Gerhard Berger viene salvato nuovamente dagli uomini della CEA, un capolavoro di efficienza e coraggio (senza dimenticare l’instancabile ricerca tecnologica da parte dell’azienda di Castenaso) che emoziona a distanza di oltre 30 anni.

Il rogo domato subito di Jos Verstappen ai box di Hockenheim ’94 ha certificato l’inversione di tendenza. Gradualmente il fuoco è sembrato un ricordo.

Fino a domenica.

But don’t play with me, ‘cause you’re playing with fire
Rolling Stones

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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