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Addio ad Aldo Agroppi: l’uomo contro, il cuore granata

Aldo Agroppi: schiettezza, passione e amore per il Torino di un protagonista indimenticabile del calcio italiano

Se ne è andato Aldo Agroppi, lasciando un vuoto non solo nel calcio ma anche nel cuore di chi lo ha conosciuto, amato e talvolta contestato. A 80 anni, l’ex calciatore, allenatore e opinionista ha chiuso il cerchio di una vita spesa tra il campo, le panchine e i microfoni. Una vita controcorrente, mai banale, proprio come il personaggio che ha interpretato con passione e coraggio.

L’INIZIO DI UN SOGNO A PIOMBINO 

Nato a Piombino nel 1944, Agroppi ha mosso i primi passi nel calcio nella squadra della sua città. Era un ragazzo come tanti, ma con qualcosa di speciale: la voglia di emergere, di lasciare il segno. Nel 1961 arrivò la chiamata del Torino, un club che avrebbe segnato la sua esistenza. Dopo gli inizi in prestito tra Genoa, Ternana e Potenza, Aldo tornò stabilmente al Toro nel 1967, entrando nella storia come uno dei protagonisti della rinascita granata. Era il 15 ottobre 1967 quando Agroppi fece il suo debutto in Serie A con il Torino, nello stesso giorno in cui il calcio italiano perse Luigi Meroni, “la farfalla granata”. Quel giorno segnò un punto di svolta per Agroppi, che incarnò lo spirito combattivo di una squadra che voleva rialzarsi dalle ceneri della tragedia di Superga. Con il Torino, vinse due Coppe Italia (1968 e 1971) e divenne una bandiera, un simbolo di un calcio che non c’è più: fatto di sacrificio, passione e fedeltà ai colori.

UNA CARRIERA SEGNATA DAL CORAGGIO

Agroppi non era solo un calciatore: era un combattente. Sul campo dava tutto, senza risparmiarsi, e questa attitudine lo portò anche in Nazionale, con cui giocò cinque partite. Dopo il ritiro dal calcio giocato nel 1977, iniziò la carriera di allenatore, portando lo stesso spirito combattivo in panchina. Dal Perugia al Pisa, fino alla Fiorentina, Agroppi lasciò il segno ovunque andò, anche a costo di scontrarsi con chi non accettava le sue idee. E come dimenticare quel tragico episodio del 1986, quando, alla guida della Fiorentina, fu aggredito dai tifosi per non aver dato abbastanza spazio a Giancarlo Antognoni? Un episodio che segnò la fine di una fase della sua carriera ma non del suo carattere: Agroppi non si piegò mai.

LA VOCE “FUORI DAL CORO”

Era negli studi televisivi che Agroppi mostrava un altro lato del suo carattere: schietto, imprevedibile, mai incline a compiacere. In quei momenti ricordo i suoi scontri accesi, le battute taglienti e la capacità di sostenere le sue idee senza arretrare di un millimetro. Io l’ho conosciuto così, tra una trasmissione e l’altra, ma anche come l’allenatore di una Fiorentina fortissima, capace di entusiasmare a metà degli anni ’80. La sua competenza e la sua passione erano inconfondibili, e lasciavano un segno indelebile anche nei cuori di chi, magari, non la pensava come lui. “Il calcio di oggi mi fa schifo. Guardo solo il Toro.” Quante volte lo abbiamo sentito dire, con quella schiettezza che lo contraddistingueva? Agroppi non aveva paura di esprimere ciò che pensava, anche quando le sue opinioni andavano controcorrente. Come opinionista, fu un faro per chi cercava una voce autentica, capace di andare oltre le convenzioni e i luoghi comuni.

Era amato per questo, e per questo era anche temuto. Chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo o collaborare con lui, ricorda la sua sagacia e la sua amabile scontrosità. Agroppi non era un uomo per tutti, ma era l’uomo giusto per chi amava il calcio nella sua forma più vera. Con la sua scomparsa, il calcio perde un protagonista di un’altra epoca, un uomo che ha vissuto per i suoi ideali e che non ha mai smesso di amare il suo Torino. Lassù, tra le stelle granata, si riunisce ora con Meroni, Mazzola e tutti gli eroi di un calcio romantico che non c’è più. “Meglio due feriti che un morto,” diceva, parlando di calcio ma forse anche della vita. Eppure, questa volta, Aldo ci lascia davvero. Ma non se ne va del tutto: rimane nei ricordi, nelle vittorie e nelle sconfitte, nelle storie raccontate da chi lo ha conosciuto e nelle nostalgie di chi avrebbe voluto viverlo.

Ciao Aldo. Grazie per averci insegnato che il calcio è più di un gioco: è un modo di essere.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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