Hoeness lascia il Bayern: danke Uli!

Dopo quasi cinquant’anni, lo storico ex giocatore e presidente del club lascia la poltrona. Un attaccamento al club non comune nel calcio di oggi

 

di Stefano Ravaglia

 

Forte, fortissimo. Più della sfortuna che gli ha fatto appendere al chiodo anzitempo le sue scarpette, più dei propri errori. Uli Hoeness, classe 1952, è nato a Ulma, a pochi passi da Gunzburg, dove si trova Legoland, il grande parco dei divertimenti dei famosi mattoncini. E lui un grande parco di divertimenti lo ha costruito in Baviera, a Monaco, sia da giocatore che da dirigente.

Dopo 49 anni esce di scena una delle più grandi bandiere del Bayern: il consiglio di amministrazione, come da programma già stabilito questa estate, ha salutato il presidente che per mezzo secolo ha ricoperto di successi e di milioni il club bavarese. Gli succederà l’ex a.d di Adidas, Herbert Hainer.

Figlio di un macellaio, Hoeness esordisce diciottenne nel Bayern nel 1970, arrivando insieme al coetaneo Breitner. Non c’è momento migliore per vestire il biancorosso: sotto la guida del presidente Neudecker, già in carica da 8 anni, i due ragazzini beneficiano della filosofia di ripartire da zero e ricominciare dai giovani. Uli Hoeness vincerà, insieme ai grandi Maier, Muller, Schwarzenbeck e Beckenbauer, tre coppe dei Campioni di fila, oltre a numerosi titoli in Germania.

E’ un attaccante che all’occorrenza può fare anche il trequartista e per il Bayern dà tutto in campo, ma soprattutto lo farà anche fuori. A 27 anni, come detto, smette precoce per guai fisici. Nel 1979, proprio mentre il presidente Neudecker saluta, lui diventa dirigente. Il Bayern se la passa maluccio quando arrivano gli anni Ottanta: la cessione di Rumenigge all’Inter per una cifra che oggi sarebbe vicina ai 6 milioni di euro, salva il club da guai peggiori.

Nel 2009 sale sulla scrivania più alta e diventa lui il numero uno del club. Oltre alle tre da giocatore, vince anche le altre due Coppe dei Campioni del 2001 e del 2013, quest’ultima mentre sa già quale sarà il suo destino da lì a breve. Le autorità stimano che tra il 2002 e il 2006 abbia evaso 27 milioni di euro e lo condannano al carcere: lui, serenissimo, dice: “Ho sbagliato e devo pagare”.

E più tardi, a fatto concluso, ribadirà:

“Il mio errore più grande è stata l’evasione fiscale.  Ne sono profondamente pentito e le critiche che ho ricevuto sono assolutamente giustificabili. E nei momenti difficili ricordo le storie di alcune delle persone che ho visto in carcere. Un giorno un mio compagno di cella è rimasto lì nonostante fosse libero di lasciare la prigione, perchè non sapeva dove andare. Ed esperienze del genere ti segnano”.

A Wembley, nella sera del trionfo sul Borussia Dortmund, sa già che andrà dietro le sbarre e piange, così come farà in carcere quando riceverà lettere di solidarietà. Ritorna presidente nel 2016, dopo aver passato in prigione due anni.

L’ultimo sussulto che gli ha regalato il club è stata una cosa non da poco: 4-0 al Dortmund in campionato, la scorsa settimana. Si è tolto anche lo sfizio di esonerare l’ultimo allenatore della sua carriera, Kovac. E pochi giorni fa, quando su una tv tedesca qualcuno aveva attaccato il ds Salhiamidzic, lui aveva telefonato infuriato.

In un’epoca in cui conta solo il denaro e i “presidenti” sono uomini di facciata punto e basta, Uli Hoeness è una gradevole eccezione: per il Bayern si butterebbe sotto a un treno, raro esempio di dedizione e amore vero per un club che ha segnato la sua intera vita in più vesti. E continuerà a seguirlo come prima, la sua creatura: la poltrona d’onore all’Allianz Arena, costata 340 milioni di euro e costruita nel suo periodo dirigenziale, non gliela toglie nessuno. Danke, Uli.

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