Curva Est, uno dei migliori libri sul calcio balcanico ad oggi pubblicato in Italia

Angolo libri; Intervista a Gianni Galleri, autore di Curva Est

A novembre, durante il Pisa Book Festival, ho avuto finalmente il piacere di assistere alla presentazione di Curva Est, il secondo libro di Gianni Galleri, autore di Volterra che sta riscuotendo un ottimo successo tra gli appassionati di letteratura sportiva.

Con Gianni ci siamo conosciuti lo scorso maggio all’Offside Film Festival di Milano, una rassegna sul cinema calcistico tenutasi presso la Fabbrica del Vapore, che nei tre giorni di proiezioni ha dato spazio anche a presentazioni di libri o a tavole rotonde sullo stato del calcio mondiale. In quell’occasione chiacchierammo parecchio, parlando del suo nuovo libro “Curva Est”, uscito un paio di mesi prima per l’Urbone Publishing, e dei suoi progetti per il futuro.

A distanza di qualche mese ci siamo ritrovati e questa volta ho indossato i panni dell’intervistatore, chiedendogli di parlarci di come questo libro, che tanto successo sta ottenendo (meritatamente), sia nato e di quale sia stato il suo impatto con i Balcani.

Buona lettura.

 -Ciao Gianni, piacere di risentirti. Come nasce l’idea di Curva Est?

”Curva Est nasce un giorno a Trieste, seduto sul Molo Audace, con i piedi nell’acqua. Ero scappato da Roma dopo aver litigato con una ragazza e avevo voglia di cambiare aria. Lì ho avuto la forte sensazione di limite: l’idea che pochi chilometri più in là iniziasse, per me, qualcosa di inesplorato e interessante. Avevo ragione”.

-Curva Est è il tuo secondo libro, il primo fu “La città del football”, incentrato su Londra e le sue molte squadre di calcio. Quale dei due lavori ti è apparso più complicato da portare a termine?

”Sono due libri che ho scritto in fasi molto diverse della mia vita, quindi un paragone è difficile. E’ certo che parlare dei Balcani non è come parlare di Londra. Nella Capitale inglese puoi sbagliare linea del metrò, nei Balcani puoi commettere errori un po’ più gravi. E non parlo di pericoli, ma proprio a livello di fraintendimenti, di mancanza di rispetto verso gli altri. Sono zone più complesse da narrare, bisogna tenere in considerazione tutta una serie di fattori che a Londra non erano importanti”.

-Calcio inglese e calcio balcanico: quali le similitudini, se ve ne sono, e quali le differenze tra questi due “stili” calcistici?

”Onestamente, l’unica similitudine che vi ho riscontrato è l’amore verso la propria squadra. Ma quello probabilmente si trova a quasi tutte le latitudini. Le differenze, invece, possono essere riassunte in due grandi gruppi: quelle tecniche e quelle storiche. Il calcio nei Balcani è in crisi, mentre in Inghilterra continua a crescere da un punto di vista dello spettacolo e della copertura televisiva. Al contrario, dal punto di vista storico, si può dire che quello di Sua Maestà è “solo” calcio, mentre al di là dell’Adriatico ci sono tutta una serie di implicazioni che, per certi versi, lo rendono molto interessante, nonostante il livello molto basso dal punto di vista tecnico-tattico”.

-Sempre rimanendo sulla contrapposizione britannico/balcanico: una volta se si pensava al calcio estero, a noi italiani veniva subito in mente l’Oltremanica, mentre oggi i Balcani sembrano essersi presi le luci della ribalta, con libri e documentari che fioccano su questo argomento. Come te lo spieghi questo nuovo interesse?

”Io ho una percezione distorta: essendo dentro la nicchia del calcio balcanico, mi sembra che tutti ne parlino. In realtà credo che il calcio inglese sia ancora il più seguito, discusso, analizzato. In qualche modo il calcio inglese lo possono “vivere” tutti, quello balcanico sono più quelli che lo “seguono” di quelli che lo “vivono”. Infine, mi viene da dire che forse sul calcio inglese c’è anche una sovra-copertura che ha portato qualcuno a guardare verso altri lidi”.

-Come si è svolto il tuo viaggio nei Balcani per la realizzazione di questo libro?

”Si è svolto nel corso di tre anni, con viaggi in macchina, in autobus e in aereo. Ho avuto tre compagni di viaggio che qualche volta mi hanno accompagnato. Diciamo che inizialmente i viaggi si sono svolti un po’ a caso, poi ho cercato di completare il puzzle andando appositamente a vedere certi luoghi che mancavano per completare il quadro d’insieme. Dove possibile cercavo di prendere contatti sul posto, dove invece non riuscivo, improvvisavo in loco. Mi è sempre andata abbastanza bene”.

-Quale Paese, o quale città, ti ha stupito maggiormente in positivo?

”La città che mi ha colpito di più è stata senza dubbio Belgrado, una capitale che non mi aspettavo essere così viva, bella e affascinante. Ma anche la Macedonia e la Bulgaria sono state due grandi sorprese. Credo che ci siano bassissime aspettative e troppi stereotipi su questi luoghi, che invece hanno molto da offrire”.

-Quando si parla di Balcani ci vengono subito in mente le immagini della guerra degli anni ’90: cittá sventrate, vite spezzate e battaglie fratricide che portarono allo sgretolamento della Jugoslavia. Oggi invece come si presentano i Balcani? Stanno riuscendo a ripartire voltando finalmente pagina?

”Il problema della guerra non è solo il periodo in cui si spara, ma anche quello successivo, quello della ricostruzione, in cui si fa una grande fatica a metabolizzare quello che è successo e andare avanti. Oggi purtroppo questi Paesi soffrono un’altissima corruzione, una mancanza di progettualità e questo spinge i giovani a lasciare il paese. Tuttavia, ho notato anche che da parte delle persone che vivono là, c’è una voglia di andare avanti, di non cristallizzarsi nella guerra, mentre tante volte anche noi che visitiamo questi luoghi tendiamo troppo a chiuderci nella narrazione del conflitto, trascurando tutto quello che di bello c’è in quelle zone”.

-Lasci trapelare, dalla pagina Facebook del libro, che Curva Est potrebbe avere un “secondo capitolo”. Ce lo confermi? E potresti anticiparci qualcosa?

”Dai, visto che stiamo parlando di questo, posso anticiparvi che c’è l’idea di fare un Curva Est 2, completando il giro di tutti i Balcani, includendo Albania, Turchia e Slovenia. Inoltre, avrei idea di ampliare la Romania e forse anche la Serbia e la Bosnia. Però non so quanto ci metterò, scrivere per me è una liberazione, una cosa bella, se mi stressa mi blocco, quindi non so darmi scadenze. Spero che per il 2020 qualcosa esca fuori”.

-Ti abbiamo visto impegnato anche in un documentario, prodotto assieme a Damiano Benzoni, sul calcio rumeno e in particolar modo sul Petrolul. Ti andrebbe di parlarcene brevemente?

”Quella è stata una bella sfida. Confrontarsi con un linguaggio nuovo, come quello del video non è stato semplice. Damiano è stato un ottimo compagno di avventura, a lui si deve il 60/70% del merito. Il Petrolul poi è una storia che merita di essere raccontata perché è bella, ma senza scadere nel mito. In poche parole, una squadra storica fallisce e i suoi tifosi, insieme a molti ex giocatori, decidono di rifondarla. Oggi è in seconda divisione che lotta per la promozione. Una storia che ha i suoi aspetti positivi, ma anche quelli negativi. Abbiamo quindi cercato di fare una fotografia di come stanno le cose, limitando al massimo le interpretazioni e offrendo allo spettatore tutti i mezzi per capire da solo come stanno le cose”.

 

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