Dal mito di Platini all’eternità di Del Piero, passando per Baggio e Tevez: i numeri 10 che hanno scritto pagine indelebili nella storia della Juventus. Ora, un nuovo talento è pronto a raccogliere questa eredità leggendaria!
La maglia numero 10 della Juventus non è solo un numero: è un simbolo, un’eredità che pochi eletti hanno avuto l’onore di portare sulle spalle. Oggi, questo simbolo leggendario è passato nelle mani di Kenan Yildiz, un giovane talento che si è già distinto nella Next Gen bianconera e che ora, con il rinnovo di contratto fino al 2029, è pronto a scrivere la sua storia nella prima squadra. Ma cosa significa davvero indossare questa maglia? E chi sono stati i campioni che, prima di lui, hanno avuto l’onore di rappresentare la Juventus con il numero 10 sulle spalle?
I PRIMI EROI: GLI ANNI CINQUANTA
Negli anni Cinquanta, quando la numerazione non era fissa e i numeri sulle maglie cambiavano a seconda della formazione titolare, furono diversi i giocatori a indossare il numero 10. Tra questi, John Hansen e Karl Aage Hansen nella stagione 1951/52, e Giorgio Bartolini e Umberto Colombo nella stagione 1955/56. Erano tempi in cui il numero rappresentava più un ruolo in campo che una vera e propria identità, ma già allora il 10 iniziava a essere associato ai giocatori più tecnici e creativi.
IL MITO DI SIVORI E HALLER: GLI ANNI SESSANTA
Negli anni Sessanta, la Juventus trovò in Omar Sivori un vero fuoriclasse. Vincitore del Pallone d’Oro nel 1961, Sivori incantò i tifosi con la sua classe e il suo estro, diventando uno dei numeri 10 più iconici della storia bianconera. Al suo fianco, Helmut Haller, che indossò il 10 tra il 1968 e il 1971, aggiunse ulteriore qualità a una squadra già di per sé stellare.
OMAR SIVORI: L’ARTISTA DEL PALLONE
Omar Sivori, soprannominato “El Cabezon” per la sua testa grande e il cervello ancora più brillante, è uno dei nomi che riecheggiano più fortemente nella storia della Juventus. Sivori non era solo un calciatore, ma un artista del pallone, capace di trasformare ogni azione in uno spettacolo. Arrivato alla Juventus nel 1957 dal River Plate, Sivori portò con sé un calcio fatto di dribbling ubriacanti, tocchi raffinati e una personalità travolgente.
Indossando la maglia numero 10, Sivori vinse tre scudetti con la Juventus e, nel 1961, si laureò Pallone d’Oro, diventando il primo giocatore juventino a ricevere questo prestigioso riconoscimento. I suoi duetti in campo con il leggendario John Charles formarono una delle coppie d’attacco più devastanti della storia del calcio italiano. Sivori segnò oltre 160 gol in maglia bianconera, molti dei quali furono autentiche gemme che ancora oggi fanno parte delle leggende narrate dai tifosi.
Il suo stile irriverente e il suo temperamento ribelle lo resero una figura amatissima, ma anche temuta dagli avversari. Sivori rappresentava la pura gioia del calcio: giocava con un sorriso sulle labbra e un’ironia che lo rendeva unico, capace di fare impazzire i difensori avversari con la sua tecnica sopraffina. Per i tifosi della bianconeri, Sivori non era solo un giocatore: era un eroe, un simbolo di ciò che significa indossare la maglia bianconera con orgoglio e creatività.
HELMUT HALLER: IL MAESTRO TEDESCO DEL CENTROCAMPO
Dopo Sivori, un altro grande numero 10 si fece largo nella storia della Juventus: Helmut Haller. Arrivato a Torino nel 1968 dal Bologna, Haller era un centrocampista tedesco di straordinaria classe e intelligenza tattica. Con la maglia bianconera, Haller si impose subito come uno dei leader del centrocampo, grazie alla sua capacità di orchestrare il gioco con una visione e una precisione fuori dal comune.
Giocò per la Juventus fino al 1973, contribuendo in modo determinante alla conquista di tre scudetti (1971/72, 1972/73) e a diverse altre competizioni. La sua eleganza in campo, unita a una grande capacità di inserirsi in zona gol, lo resero un punto di riferimento fondamentale per la squadra. Anche se meno estroso di Sivori, Haller portò alla Juventus un calcio più ragionato, fatto di geometrie perfette e passaggi millimetrici, che consentirono alla squadra di dominare in Italia durante gli anni della sua permanenza.
Haller fu il perfetto esempio di come un numero 10 potesse essere non solo un fantasista, ma anche un metronomo capace di dettare i ritmi e le sorti di una partita. La sua presenza in campo garantiva solidità e imprevedibilità, qualità che fecero di lui un giocatore amatissimo dai tifosi e rispettato dagli avversari.
GLI ANNI SETTANTA: IL NUMERO 10 E I SUOI INTERPRETI NELL’ERA DELLA SOLIDITÀ
Gli anni Settanta furono un periodo di transizione e di consolidamento per la Juventus, un decennio in cui il numero 10 passò tra diversi giocatori, ognuno dei quali portò con sé una sfumatura unica. In un’epoca in cui il calcio italiano era sinonimo di tattica e solidità, la maglia numero 10 divenne, talvolta, un simbolo di versatilità piuttosto che di puro estro creativo.
ROBERTO BETTEGA E FABIO CAPELLO: IL TALENTO E LA VISIONE
Roberto Bettega, uno dei più grandi attaccanti italiani di tutti i tempi, indossò il numero 10 nella stagione 1970/71. Con il suo fisico imponente e la sua capacità di finalizzare, Bettega rappresentava un tipo di numero 10 meno convenzionale, ma ugualmente efficace. Accanto a lui, Fabio Capello, che portò il numero 10 per diverse stagioni, dal 1970/71 fino al 1975/76, interpretò il ruolo con intelligenza e pragmatismo. Capello era un centrocampista dotato di una visione di gioco superiore e di una grande capacità di inserimento, e il suo contributo fu cruciale in quegli anni, sia in Italia che in Europa.
GAETANO SCIREA: IL NUMERO 10 CHE SOGNAVA LA DIREZIONE D’ORCHESTRA
Tra i tanti nomi illustri che hanno vestito la maglia numero 10 durante gli anni Settanta, spicca quello di Gaetano Scirea. Anche se è il numero 6 che lo ha consacrato come uno dei più grandi difensori di tutti i tempi, Scirea indossò brevemente il 10 nella stagione 1975/76. Da bambino, Scirea sognava di essere un direttore d’orchestra come Suárez e Rivera, e anche se il destino lo portò a guidare la difesa con eleganza e intelligenza, quella breve parentesi con il numero 10 testimonia la sua straordinaria versatilità e il suo talento innato.
ROMEO BENETTI, CLAUDIO GENTILE E L’ANIMA DIFENSIVA DEL NUMERO 10
Gli anni Settanta videro anche figure come Claudio Gentile e Romeo Benetti, noti per la loro durezza e capacità difensiva, indossare la maglia numero 10. Benetti, in particolare, nel 1976/77, incarnò un tipo di numero 10 lontano dall’immagine del fantasista classico, ma perfettamente in linea con lo spirito di una Juve che basava il suo successo su una difesa impenetrabile e su un centrocampo combattivo. Gentile, un difensore di ferro, portò brevemente il numero 10, un fatto che oggi appare quasi surreale, ma che evidenzia quanto il calcio fosse diverso in quell’epoca rispetto ai canoni moderni.
LIAM BRADY E IL PRELUDIO AL MITO
Prima che Michel Platini arrivasse a Torino, la maglia numero 10 era già sinonimo di talento e leadership. Nella stagione 1981/82, fu l’irlandese Liam Brady a indossare questo numero prestigioso. Brady era un centrocampista elegante e dotato di una visione di gioco superiore, che contribuì notevolmente ai successi della Juventus in quegli anni.
Quando si parla di Brady, è impossibile non menzionare uno dei momenti più iconici della sua carriera in bianconero: il rigore decisivo contro il Catanzaro, che consegnò alla Juventus lo scudetto nella stagione 1981/82. Il centrocampista irlandese di straordinaria eleganza e visione di gioco, era già un pilastro della squadra, ma quel rigore lo consacrò definitivamente nella storia del club.
Ironia della sorte, quello fu anche l’ultimo atto di Brady con la maglia della Juventus. Nonostante il suo contributo decisivo, il club aveva già deciso di puntare su Michel Platini per la stagione successiva. Ma il ricordo di quel rigore rimase impresso nella memoria dei tifosi, e ancora oggi il centrocampista irlandese è ricordato come l’uomo che, con un singolo tiro, seppe regalare un titolo che resterà per sempre nella storia della Juventus.
Un addio agrodolce, certo, ma che sancì per sempre il nome di Brady tra i grandi della storia bianconera. Ma nonostante le sue qualità, nessuno poteva immaginare che il vero “Re” della maglia numero 10 fosse ancora alle porte.
L’ERA DI MICHEL PLATINI: L’INCANTO DI UN NUMERO 10 ETERNO
Quando Michel Platini arrivò alla Juventus nell’estate del 1982, nessuno poteva prevedere l’impatto devastante che avrebbe avuto non solo sulla squadra, ma sull’intero calcio mondiale. Con la maglia numero 10 sulle spalle, Platini trasformò il gioco in arte. La sua abilità nel controllo di palla, la precisione dei passaggi e la letalità sui calci piazzati lo resero immediatamente un idolo dei tifosi bianconeri.
Platini indossò il numero 10 dal 1982 al 1987, un periodo durante il quale la Juventus dominò non solo in Italia, ma anche in Europa. In queste stagioni, “Le Roi” – come venne soprannominato – vinse tre Palloni d’Oro consecutivi (1983, 1984, 1985), diventando uno dei giocatori più premiati e rispettati di tutti i tempi.
La sua capacità di decidere le partite con un singolo tocco o una giocata improvvisa lo rese l’incarnazione del numero 10: il regista capace di ispirare e trascinare la squadra con la sua classe infinita. Ogni volta che Platini scendeva in campo, i tifosi sapevano che stavano assistendo a qualcosa di speciale. Le sue giocate, i suoi gol – spesso decisivi – e la sua leadership furono fondamentali per portare la Juventus a vincere due scudetti, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa UEFA e, soprattutto, la Coppa dei Campioni nel 1985.
UN’EREDITÀ IMMENSA: GLI ALTRI NUMERI 10 DOPO PLATINI
Dopo l’addio di Platini nel 1987, la maglia numero 10 passò brevemente sulle spalle di altri giocatori, ma nessuno riuscì mai a replicare il carisma e l’influenza del francese. Beniamino Vignola e Luigi De Agostini si alternarono con il 10, ma fu chiaro che il vuoto lasciato da Platini era incolmabile.
Successivamente, Michael Laudrup prese il numero 10 nelle stagioni 1987/88 e 1988/89. Il danese era un giocatore raffinato, dotato di una tecnica sublime, ma anche lui fu inevitabilmente paragonato a Platini. Nella stessa stagione, Massimo Mauro e Oleksandr Zavarov (il primo giocatore sovietico della storia a giocare in Serie A) indossarono il numero 10, ma nessuno riuscì a entrare nel cuore dei tifosi come il grande “Re”.
GLI ANNI DI TRANSIZIONE: MAROCCHI E CORINI
Dopo l’era di Michel Platini, la maglia numero 10 della Juventus passò attraverso un periodo di transizione, indossata da diversi giocatori che, pur non raggiungendo le vette del “Re”, lasciarono comunque il loro segno. Giancarlo Marocchi fu uno dei primi a raccogliere questa eredità, indossando il numero 10 dalla stagione 1988/89 alla 1990/91 e poi nuovamente nella stagione 1993/94. Marocchi era un centrocampista duttile, dotato di buona visione di gioco e capace di adattarsi a diversi ruoli in campo, anche se non incarnava il classico profilo del “fantasista” associato al numero 10.
Nella stagione 1991/92, fu Eugenio Corini a portare il numero 10 sulle spalle. Corini, anch’egli centrocampista, era conosciuto per la sua intelligenza tattica e la sua abilità nei calci piazzati, ma il suo stile di gioco più equilibrato e meno spettacolare lo rendeva un numero 10 atipico.
L’ARRIVO DEI CAMPIONISSIMI: ROBERTO BAGGIO E DAVID PLATT
L’autentica rinascita del numero 10 alla Juventus arrivò con l’acquisto di Roberto Baggio nel 1990. “Il Divin Codino” non aveva bisogno di presentazioni: era già considerato uno dei talenti più puri del calcio italiano e mondiale. Con Baggio, la maglia numero 10 tornò a essere sinonimo di genio, estro e spettacolo. Dal 1990 al 1995, Baggio incantò i tifosi bianconeri con le sue giocate sopraffine, i suoi dribbling e i suoi gol spettacolari. Fu lui a traghettare la Juventus in un periodo di transizione, portandola a conquistare lo scudetto nel 1994/95 e a sfiorare più volte la gloria europea.
Nella stagione 1992/93, la Juventus affiancò a Baggio il centrocampista inglese David Platt, che, per un breve periodo, condivise il ruolo di numero 10. Platt era un giocatore di grande esperienza e personalità, che aggiunse qualità e solidità al centrocampo bianconero, sebbene non riuscì mai a brillare come Baggio.
ANDREAS MÖLLER E ALESSIO TACCHINARDI: L’INTERVALLO PRIMA DI DEL PIERO
Sempre nella stagione 1992/93, il numero 10 fu indossato anche da Andreas Möller, un centrocampista tedesco noto per la sua versatilità e per la sua capacità di creare gioco. Möller era un giocatore dal talento indiscutibile, ma il suo impatto alla Juventus fu altalenante e non riuscì a lasciare un segno profondo come altri grandi numeri 10.
Nel 1994/95, un’altra sorpresa: Alessio Tacchinardi, un mediano di sostanza e grinta, si ritrovò a indossare la maglia numero 10. Tacchinardi, pur essendo un giocatore fondamentale per l’equilibrio della squadra, non aveva il profilo del classico “trequartista”, e la sua scelta per il numero 10 apparve insolita a molti tifosi.
LA CONSACRAZIONE DI DEL PIERO E IL SOGNO CHAMPIONS DI JUGOVIC
L’anno successivo, 1995/96, segnò l’inizio della leggenda di Alessandro Del Piero. Sebbene il numero 10 diventasse ufficialmente suo in Serie A solo dal 1995/96, fu Vladimir Jugovic a indossarlo durante alcune partite della storica campagna di Champions League, conclusasi con la vittoria in finale contro l’Ajax. Jugovic, un centrocampista serbo di grande qualità, contribuì in modo decisivo a quella vittoria, sebbene il numero 10 fosse solo temporaneamente sulle sue spalle.
Da quel momento in poi, Del Piero avrebbe fatto del numero 10 il suo marchio di fabbrica, diventando non solo uno dei giocatori più amati nella storia della Juventus, ma anche uno dei numeri 10 più iconici del calcio mondiale.
UN’ICONA SENZA TEMPO: L’INIZIO DI UNA LEGGENDA
Quando si parla di Alessandro Del Piero, non si tratta solo di un calciatore, ma di una vera e propria leggenda vivente, un simbolo indissolubile della Juventus e del calcio italiano. La maglia numero 10, che indossò dalla stagione 1994/95 fino al 2011/12, divenne con lui un emblema di classe, lealtà e amore per i colori bianconeri. Per quasi vent’anni, Del Piero non fu solo un giocatore, ma il capitano, il trascinatore, l’uomo che sapeva prendere la squadra per mano nei momenti più difficili e condurla verso la vittoria.
UN RECORD DI FEDELTÀ E SUCCESSI
Del Piero ha dedicato la sua carriera alla Juventus, giocando oltre 700 partite e segnando quasi 300 gol, numeri che lo hanno reso il miglior marcatore di tutti i tempi del club. Ma i numeri, per quanto impressionanti, non raccontano tutta la storia. È stato il modo in cui ha giocato, la sua capacità di incantare con tocchi di classe e gol spettacolari, che lo hanno reso un’icona per i tifosi e un modello di sportività per i giovani calciatori.
Nel corso della sua carriera in bianconero, Del Piero ha vinto tutto quello che c’era da vincere: scudetti, Coppe Italia, Supercoppe italiane, ma anche la tanto ambita Champions League nel 1996, seguita dalla Coppa Intercontinentale nello stesso anno. Ogni vittoria, ogni trofeo, fu il frutto del suo talento immenso e della sua capacità di guidare la squadra con la calma e la determinazione di un vero leader.
IL LEGAME INDISSOLUBILE CON LA MAGLIA NUMERO 10
La maglia numero 10 della Juventus, con Del Piero, divenne qualcosa di più di un semplice pezzo di stoffa. Divenne un simbolo di una lunga storia d’amore tra un uomo e una squadra, tra un campione e i suoi tifosi. Ogni gol segnato, ogni esultanza, ogni bacio alla maglia, rafforzava un legame che sarebbe durato per sempre. Per quasi vent’anni, la numero 10 significò Alessandro Del Piero, e Alessandro Del Piero significò Juventus.
Il suo stile di gioco era unico: elegante, ma allo stesso tempo devastante. Che fosse un calcio di punizione, un dribbling elegante o un tiro a giro, Del Piero sapeva come lasciare il segno. Ogni volta che il pallone arrivava ai suoi piedi, i tifosi si alzavano dai loro posti, sapendo che stavano per assistere a qualcosa di speciale.
L’EREDITÀ DI DEL PIERO: UN VUOTO IMPOSSIBILE DA COLMARE
Quando Del Piero lasciò la Juventus nel 2012, la società decise di non assegnare la maglia numero 10 per la stagione successiva. Fu un gesto simbolico, un segno del rispetto e della gratitudine che il club e i tifosi avevano per il loro capitano. La numero 10 era troppo carica di significato, troppo legata alla figura di Del Piero per poter essere indossata da qualcun altro così presto. Quel numero aveva visto troppi trionfi, aveva portato troppa responsabilità per passare subito a un nuovo padrone.
TEVEZ E DYBALA: IL PESO DELL’EREDITÀ
Dopo l’addio di Del Piero, il numero 10 passò brevemente nelle mani di Carlos Tevez, che con la sua grinta e determinazione restituì alla Juventus un leader capace di trascinare la squadra a nuovi successi. Poi fu il turno di Paulo Dybala, la “Joya”, che indossò il 10 con orgoglio dal 2017 al 2022, facendo sognare i tifosi con le sue giocate raffinate.
YILDIZ: IL FUTURO È ORA
E ora, dopo l’addio di Paul Pogba, il numero 10 ha un nuovo padrone: Kenan Yildiz. Nato nel 2005, il giovane turco ha già dimostrato di avere il talento e la personalità per raccogliere un’eredità così importante. Con un contratto rinnovato fino al 2029, Yildiz ha tutto il tempo per crescere e diventare un nuovo punto di riferimento per la Juventus, scrivendo il suo nome accanto a quelli dei più grandi campioni che hanno fatto la storia del club.
La maglia numero 10 della Juventus è molto più di un semplice numero: è un simbolo di eccellenza, creatività e leadership. E con Yildiz, la leggenda continua.