La settimana NBA del 14-01-2019

Nel caso qualcuno si fosse dimenticato che per il premio di MVP bisogna comunque tenere conto di Steph Curry, ci ha pensato il numero 30 dei Golden State Warriors a ricordarlo a tutti. Il metodo utilizzato dal due volte MVP della lega è stato segnare 48 punti in faccia ai Dallas Mavericks, mandando a segno la bellezza di undici triple — tra cui l’ultima per vincere la gara. A 42 secondi dal termine con il punteggio sul 114 pari, Curry si è isolato in punta e ha mandato a segno la “pugnalata” che ha chiuso la partita, ma secondo lui e coach Steve Kerr il merito è stato tutto di Kevin Durant. “È stato lui a prendere l’iniziativa: sapendo che ero caldo, ha agito da esca e mi ha permesso di mettermi al lavoro. Per il modo in cui hanno difeso contro di noi, era la cosa più logica”. A vedere il tabellino finale di Curry — 17/32 dal campo, 11/19 da tre, 6 rimbalzi e 5 assist — verrebbe da dire che i Mavs non sono proprio riusciti a difendere contro di lui, anche perché hanno concesso 28 punti a Kevin Durant e altri 16 a Klay Thompson (di cui 9 nell’ultimo quarto). “Aveva continuamente un mismatch” ha spiegato KD. “Stava segnando contro chiunque stasera, perciò perché chiamare schemi?”.

Luka Doncic incanta ma non vince contro Curry e KD

Tanto è bastato ai campioni in carica per portare a casa una vittoria confezionata anche dalla giocata difensiva di Draymond Green, che dopo l’ultima tripla di Curry ha stoppato il tentativo di Jalen Brunson per impedire il pareggio, come successo anche a 5 secondi dalla fine con la palla persa dell’ex Harrison Barnes in isolamento contro Durant. I Mavericks hanno pagato a caro prezzo gli ultimi otto tiri sbagliati per chiudere la gara, arrivando col fiato corto a differenza di quanto successo un paio di mesi fa sempre in casa contro gli Warriors, che però erano privi di Curry e Green. Anche questa volta Luka Doncic ha mostrato tutte le sue qualità chiudendo con 26 punti, 6 rimbalzi e 5 assist con 5/10 da tre punti, seguito dai 22 di Harrison Barnes e dalla doppia doppia da 13+14 di DeAndre Jordan.

Nelle ultime dieci partite, di sconfitte preoccupanti i Lakers ne hanno già avute diverse. Un vantaggio di 15 punti sprecati a Sacramento; due sconfitte senza appello contro Clippers e Thunder; una terribile prestazione interna contro i Knicks che non vincevano da otto partite e una persino peggiore a Minneapolis senza neanche scendere in campo. Quella di stanotte contro i Cleveland Cavaliers, però, potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Sotto gli occhi di un impotente LeBron James immobile sul fondo della panchina, i giovani Lakers hanno perso contro la peggior squadra dell’intera NBA, capace di vincere solo 8 delle 43 partite disputate finora ma, soprattutto, reduce da 12 sconfitte consecutive, la peggior striscia della lega. E non è che la sconfitta è arrivata con un tiro all’ultimo secondo, ma finendo sotto di 15 nel primo quarto senza mai riuscire a riportarsi avanti, senza neanche avvicinarsi sotto i 3 punti di distacco. Un risultato semplicemente inaccettabile anche per una squadra che non può contare sui due portatori di palla principali, LeBron James e Rajon Rondo, e che getta ombre lunghe su tutta l’organizzazione, a partire dai giocatori fino ad arrivare, soprattutto, a Luke Walton.

Il crollo offensivo dei Lakers senza LeBron

l’allenatore dei Lakers ha dichiarato che “essere licenziati non è il problema. Il problema è se vieni licenziato cercando di piacere ad altre persone, invece di fare a modo tuo. Nel primo caso, vivrai nel rimpianto; nel secondo, puoi convivere con qualsiasi cosa succeda”. Parole che sembrano un messaggio soprattutto per Magic Johnson, indicato da molti come il suo principale critico all’interno della dirigenza, specialmente dopo il “chiarimento” di inizio anno sul sistema di gioco dei gialloviola. Dopo quella chiacchierata i Lakers hanno vissuto il loro miglior momento della stagione, vincendo 18 partite su 24 tra l’inizio di novembre e metà dicembre, fino alla vittoria di prestigio di Natale sul campo dei Golden State Warriors. Da lì in poi, ovverosia dall’infortunio di James in poi, i Lakers sono però crollati soprattutto in attacco: con 100.4 punti segnati su 100 possessi, i gialloviola hanno il peggior attacco della NBA dopo Natale, un punto e mezzo sotto i penultimi Memphis Grizzlies.

Giannis Antetokounmpo basta e avanza a Milwaukee: Atlanta va ko in casa

La scorsa settimana la partita si era conclusa dopo meno di dieci minuti, grazie a un parziale di 30 punti arrivato nella prima frazione. Stavolta Milwaukee ha tenuto in vita più a lungo gli Hawks, che si sono trascinati in scia degli ospiti per una mezz’oretta, senza affondare mai prima del quarto periodo. Atlanta però non riesce mai a cambiare marcia e riportarsi in partita, mentre la seconda forza della Eastern Conference non deve mettere neanche la terza per ritornare al successo dopo il ko di Washington. Anche perché sul parquet è tornato Giannis Antetokounmpo dopo il fastidio al quadricipite destro, e si sente. Il talento greco viene marcato spesso e volentieri dal “centro” avversario, o comunque dal giocatore deputato a proteggere il ferro, mentre un esterno si prende cura di Brook Lopez (che nonostante i 213 centimetri resta molto lontano dal canestro in attacco). Antetokounmpo si accontenta alle volte del tiro in allontanamento – non la specialità della casa – ma riesce a procurarsi ben 19 viaggi in lunetta che gli permettono di chiudere la sfida con 33 punti a referto, conditi con sei rimbalzi, quattro assist e tre recuperi. Ai suoi si aggiungono i 24 punti di Bledsoe e i 17 di Middleton, mentre dall’altra parte sono 26 e dieci rimbalzi per Trae Young; uno dei sei giocatori in doppia cifra in casa Hawks.

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