Premier League ferma fino al 30 aprile. Ma si tornerà mai a giocare?

Ipotesi su recuperi e nuovi calendari, scadenza del 30 giugno come ultimo termine. Ma faremo davvero in tempo?

 

di Stefano Ravaglia

 

Il problema è concreto, reale, ma molto legato ai nostri comportamenti quotidiani. Il coronavirus ha stravolto le nostre vite, ha stravolto le abitudini, ha stravolto anche lo sport, in questo momento la cosa meno importante delle cose più importanti. Sia lo sport privato, individuale (jogging e via dicendo) oggetto di un poco appassionante dibattito sul “si dovrebbe fare, non si dovrebbe fare”. Stare in casa, questo l’ordine da eseguire, e nient’altro.

Su larga scala invece si stanno decidendo i destini di varie competizioni. I maggiori campionati europei, le coppe Europee, le grandi kermesse internazionali (Europei e Olimpiadi), l’una già rinviata al 2021 l’altra ancora in bilico.

Uefa e federazioni si sono riunite, seppur via video, martedì, i quotidiani hanno sparato qualsiasi ipotesi per poter comprimere un calendario fermo da recuperare entro la fatidica data del 30 giugno, giorno in cui bisognerà rivedere contratti di licenze, sponsorizzazioni e addetti ai lavori. Un maggio caldissimo, non solo a livello atmosferico, ma con tutti i campionati che dovranno essere portati a compimento, e le finali di Istanbul e Danzica (Champions ed Europa League nell’ordine) da mettere a fine giugno.

Ok, tutto concreto, ma non si è esaminata una seconda via. Mentre la Premier League ha annunciato lo stop ufficiale almeno fino al 30 aprile, nessuno sta spiegando al pubblico e agli addetti ai lavori che si potrebbe anche non tornare a giocare. Ci si lusinga che il mese prossimo si possa tornare agli allenamenti, sui quali tra l’altro in Italia è in atto un’altra stucchevole diatriba tra clubs e federazioni, e che a inizio maggio si sia in grado tutti insieme di riempire i campi e le tribune come se nulla fosse mai accaduto.

Desiderio di ritorno alla normalità sempre più pressante e lecito, voglia di evadere dalla prigione domestica, seppur nella storia del mondo siano esistite prigioni ben peggiori di quelle fornite di tutti i comfort nelle quali viviamo.

Eppure, come giustamente sottolineato da Matteo Marani ieri su Sky Sport 24, il 30 giugno è dietro l’angolo. Regna ancora l’incertezza: i casi di contagio non diminuiscono, gli altri paesi europei sono solo all’inizio di una catena che in Italia ha già fatto parecchi danni, e soprattutto l’Inghilterra si è vista costretta a rivedere le proprie strategie iniziali.

Siamo sicuri che entro il 30 giugno saranno completate decine di partite (in Premier League mancano 9 giornate alla fine più due partite di recupero, e quarti, semifinali e finale di FA Cup, oltre alle gare di Championship. League One e League Two, comprensive di playoff) in tutta sicurezza, con gli stadi pieni e dopo aver evaso anche i numerosi casi di contagio che ormai stabilmente hanno invaso anche i giocatori?

Ce lo auguriamo con tutto il cuore, davvero, ma la portata degli organi e delle federazioni coinvolte dovrebbe portare a un ragionamento “oltre”, ossia la possibilità che il calcio non riesca a riprendere. Se anche la curva dei contagi diminuirà a breve, cosa peraltro tutt’altro che scontata, non si potrà aprire le gabbie con una certa facilità.

Ecco perché, con soltanto un paio di mesi a disposizione, occorre farsi carico anche di informare clubs e federazioni di cosa accadrà se l’isolamento sarà prolungato. Congelare le classifiche? Dare i titoli a chi è in testa in questo momento? Non assegnare nulla? Non vorremmo essere nei panni di chi deve decidere.

Anche se non è certo la cosa più importante a cui pensare ora. Tutti in campo a maggio, certo, ma purtroppo bisognerà fare i conti con il coronavirus ancora per un bel po’. E nessuno ci ha detto cosa accadrà se il pallone non riprenderà a rotolare.

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