Il tramonto di un impero. Ecco la prima cosa che abbiamo pensato quando abbiamo appreso la notizia della separazione a fine stagione tra Wenger e l’Arsenal, il suo Arsenal. Il classico fulmine a ciel sereno.
— Arsenal FC (@Arsenal) 20 aprile 2018
Oddio, ormai erano anni che a fine stagione il tormentone ‘#wengerin o #wengerout’ faceva capolino salvo poi venire rintuzzato dall’ennesima qualificazione in Champions League (19 di fila, scusate del poco), quindi prima o poi doveva accadere.
Il capolinea sembrava arrivato al termine della passata stagione, con il quinto posto in campionato, ma la conquista della FA Cup (2-1 contro il Chelsea) aveva nuovamente rimandato ogni discorso di addio.
Ancor peggio quest’anno con i Gunners inchiodati se va bene al sesto posto, ma la semifinale di Europa League era li, pronta nuovamente a sparigliare le carte in tavola.
E invece no.
Si deve essere accorto, il buon Arsène, che le sue polveri sono ormai troppo bagnate per soddisfare gli appetiti dei tifosi, sempre più contrariati per questa sorta di ‘ridimensionamento’ di risultati nonostante i consistenti investimenti, e che era quindi giunto il momento di cedere il passo.
Arsène Charles Ernest Wenger, ascesa e declino del Football Manager.
Quando nell’ormai lontanissimo 1996 il francese siede sulla panchina dei Gunners dopo un’ottima annata in Giappone (con il Nagoya Grampus), in molti si chiedono chi sia questo giovane tecnico (non scherziamo, ‘Wenger who’ a suo tempo era un tormentone, con o senza social).
Il transalpino non si scompone e risponde sul campo, conquistando subito un terzo posto ed andando a vincere la Premier e l’FA l’anno dopo.
Quattro secondi posti e un’altro titolo (2001-2002) fanno da anticamera a quello che verrà ricordato come l’Arsenal degli Invincibili; è la stagione 2003-2004, e i Gunners conquistano il 13° titolo della loro storia chiudendo l’anno da imbattuti (26 vittorie, 12 pari). Un’impresa che in Inghilterra non riusciva da oltre 100 anni!
Una vetta altissima, raggiunta e forse superata al termine della stagione 2005-2006 con la finale di Champions League persa contro il Barcellona, la prima nella storia del club.
E’ l’inizio della fine, perché negli oltre dieci anni seguenti l’Arsenal raccoglie la miseria di 3 Fa Cup e 3 Community Shield (miseria si fa per dire), vedendosi soppiantata nei salotti buoni del calcio d’oltremanica dalle nuove superpotenze (Chelsea, Manchester City) e scavalcata nelle gerarchie anche dagli acerrimi rivali del Tottenham.
Quale futuro per l’Arsenal post-Wenger?
La domanda sorge spontanea: chi raccoglierà un’eredità così importante, ne sarà all’altezza? L’ultima volta con quella di Ferguson le cose non sono andate poi così bene (il primo che ci dice ‘Moyes e Van Gaal hanno fatto bene’ lo scomunichiamo).
Tra i molti nomi delle prime ore ci sono anche gli italiani Capello e Ancelotti, al momento senza squadra, ma anche Allegri (voce in piedi da tempo) e, a sorpresa, Conte.
Ci sono poi gli amarcord, primo tra tutti quello per Vieira (che è però in orbita Citizens, visto che allena i New York City), seguito sullo sfondo da Arteta e Henry, due profili però ancora acerbi.
Ma la margherita è vastissima: Nagelsmann (Hoffenheim), Jardim (Monaco), Fonseca (Shakhtar), Brendan Rodgers (Celtic) e Martinez (ct del beglio) sono soltanto alcuni profili che si stanno valutando in seno alla dirigenza dei Gunners. Che, è innegabile, avrà il suo bel da fare.
P.s. Non parliamo delle schiere di giovani scovati e valorizzati da Wenger; siamo sicuri che li conoscete a menadito anche voi, e soprattutto servirebbe un’equipe degna della Nasa per mettere assieme una lista minimamente accettabile.