Ci sono notti che valgono una stagione. E poi ci sono notti che valgono una vita. Quella vissuta dall’Inter contro il Barcellona è di queste. Una doppia semifinale di Champions League leggendaria, da tramandare, da incorniciare, da scolpire nella memoria collettiva del tifo nerazzurro. Un 7-6 complessivo che sa di impresa, di resistenza, di gloria. Eppure, qualcuno in Catalogna ha il coraggio di lamentarsi.
LA SERATA DEI GIGANTI NERAZZURRI
Il calcio è fatto di valori, non solo di valore di mercato. E l’Inter, che vale 350 milioni in meno del Barcellona, ha messo sul prato di San Siro una prestazione di cuore, organizzazione e qualità. Un primo tempo perfetto: Lautaro che spacca la partita, Calhanoglu glaciale dal dischetto. Poi, come da copione, la risposta catalana: il talento di Garcia, Olmo e Rafinha, e il momentaneo 3-2 blaugrana. Ma quando tutto sembrava perso, ecco la resurrezione: Acerbi, da difensore a centravanti d’emergenza, insacca il 3-3 al 93’. Supplementari. E nel momento in cui servono nervi e polmoni, emerge Davide Frattesi, al termine di un’azione meravigliosa iniziata da un Thuram ispirato.
L’Inter vince 4-3 la gara di ritorno. Va in finale. La sesta della sua storia, la seconda in tre anni. Ma stavolta, senza alcun dubbio, la più clamorosa.
MARCINIAK: UN ARBITRAGGIO SALVATO SOLO DAL VAR
Szymon Marciniak ha diretto la semifinale di ritorno come se fosse stato sopraffatto dall’evento. Un arbitraggio confusionario, gravemente insufficiente, salvato soltanto dall’intervento costante del VAR. Il rigore netto su Lautaro non lo vede, lo corregge la tecnologia. Il fallo di Mkhitaryan su Yamal è fuori area, ma lui indica il dischetto. Ancora il VAR lo salva. Quando Iñigo Martinez sputa su Acerbi dopo il gol del 2-0 di Calhanoglu, Marciniak fa finta di nulla. E infine, l’assurdo fischio anticipato del primo tempo supplementare con Barella solo davanti al portiere: un episodio che grida vendetta.
Eppure, incredibilmente, i quotidiani spagnoli—da Mundo Deportivo a Sport—hanno parlato di “scandalo arbitrale” a favore dell’Inter, dimenticando (forse con comodo) che, senza la tecnologia, il Barcellona avrebbe probabilmente ottenuto l’ennesimo passaggio di turno.
A rincarare la dose ci hanno pensato Hansi Flick e Pedri, con dichiarazioni ai limiti del surreale. Il tecnico tedesco si è detto “rattristato” per la direzione arbitrale, senza menzionare una sola delle decisioni errate corrette dal VAR contro l’Inter. Peggio ha fatto Pedri, che ha parlato in modo imbarazzante chiedendo l’intervento dell’UEFA, ignorando i fatti e rifugiandosi in una narrazione tossica tipica di chi ha perso e non accetta la sconfitta.
Difficile capire cosa esattamente il Barcellona reclami. E se oggi stiamo parlando di Inter in finale, lo dobbiamo al VAR.
BARCELLONA E LE LACRIME SENZA PUDORE
Che poi, dopo tutto questo, il Barcellona trovi anche il coraggio di lamentarsi dell’arbitraggio, è francamente insopportabile. Lo dice anche la storia: senza il VAR, probabilmente i catalani sarebbero in finale. Esattamente come nel 2009, nella famigerata semifinale contro il Chelsea arbitrata da Tom Henning Øvrebø, l’uomo che negò ai Blues tre rigori evidenti e aprì la strada al gol di Iniesta. Lì non c’era tecnologia a correggere gli errori. Oggi sì. E forse è proprio questo che dà fastidio.
Non è l’Inter che deve spiegare qualcosa. È il Barcellona che dovrebbe accettare. Accettare, per una volta, i meriti altrui. Quella di una squadra meno blasonata a livello economico, ma infinitamente più coesa, determinata e coraggiosa.
UNA VITTORIA CHE ESALTA (ANCORA UNA VOLTA) LA BRAVURA DI INZAGHI
Questa finale non è solo una questione sportiva. È un riscatto. È la rivincita di un calcio italiano spesso deriso, sottovalutato, chiamato “provinciale” da chi negli ultimi vent’anni si è sentito aristocratico. È la conferma che Simone Inzaghi è oggi uno degli allenatori più incisivi d’Europa, capace di leggere, ribaltare e gestire partite con freddezza e intelligenza.
E soprattutto è un dono ai tifosi. A chi ha sofferto, sperato, urlato e pianto. A chi ha visto in Acerbi, in Frattesi, in Lautaro, qualcosa che va oltre il talento: la voglia di entrare nella storia.
IL CALCIO HA ANCORA UN’ANIMA
Il 6 maggio 2025 non è solo una data da ricordare. È la prova che il calcio, quando è vero, quando è giusto, quando è emozione pura, può ancora regalare pagine immortali. E l’Inter, stavolta, ne ha scritta una gigantesca.
Tom Henning Øvrebø è il passato. Marciniak, senza il VAR, avrebbe potuto emularlo. Grazie alla tecnologia ha vinto l’Inter.
In finale, ora, si va per alzare la coppa. Ma anche se il sogno dovesse infrangersi lì, il mondo saprà una cosa: che l’Inter ha già fatto l’impresa. E allora, lasciamo pure che in Spagna gridino al complotto. Noi ci teniamo la sostanza: una squadra leggendaria, una notte che fa storia, una finale conquistata. E no, non servono 33 milioni di euro di ingaggio a Lewandowski per esserlo. Basta essere l’Inter del 6 maggio.