Simone Inzaghi
Simone Inzaghi (Credit: Instagram Simone Inzaghi - lanotiziasportiva.com)

Inter, sogno Triplete in frantumi: il derby è un incubo che può lasciare strascichi

Il 3-0 incassato dal Milan in semifinale di Coppa Italia infrange le speranze del Triplete e rischia di compromettere la corsa nerazzurra anche in campionato e Champions. Inzaghi chiamato alla svolta immediata contro la Roma.

Perdere un derby fa sempre male. Perdere 3-0 in una semifinale di Coppa Italia, contro il Milan, con la posta in palio altissima, fa malissimo. Ma quando questa sconfitta rappresenta l’addio al sogno del Triplete, la ferita rischia di diventare emorragica. L’Inter di Simone Inzaghi cade rovinosamente nel ritorno della semifinale e saluta una delle sue tre ambizioni stagionali, lasciando il campo alla festa rossonera.

L’avvio era stato convincente, i primi 30 minuti dominati con personalità e ritmo. Poi il blackout. Il Milan ha punito con cinismo, l’Inter ha ceduto di schianto, mostrando una fragilità mentale che preoccupa a pochi giorni da una delle sfide più delicate della stagione: la gara di domenica contro la Roma, decisiva per tenere il passo del Napoli nella corsa scudetto.

IL PESO DI DUE KO CONSECUTIVI

Il derby perso è stato un colpo durissimo, ma è la seconda sconfitta consecutiva in pochi giorni a rendere il quadro ancora più preoccupante. Già a Bologna, l’Inter aveva mostrato segnali di affaticamento mentale e mancanza di lucidità. Una partita che si poteva gestire meglio, magari con maggiore furbizia, cercando il pareggio anziché esporsi inutilmente nel finale. Invece è arrivato un altro k.o., che ha lasciato scorie evidenti.

Il problema non è solo nei risultati, ma nel modo in cui la squadra ha affrontato le due partite. Spenta, prevedibile, povera di idee e – cosa ancora più allarmante – quasi mai pericolosa davanti alla porta. Pochi tiri in porta, scarsa incisività e manovra lenta: un’Inter irriconoscibile rispetto a quella ammirata nei mesi precedenti.

È vero che l’assenza di Thuram pesa, soprattutto per il modo in cui il francese tiene impegnate le difese e apre spazi per Lautaro. Ma ridurre tutto a un’assenza è una scusa troppo facile. Chi è stato chiamato a sostituirlo non ha inciso, né in termini di movimenti, né di pericolosità. E anche altri titolari, da cui ci si aspetta leadership e qualità, non hanno fatto la differenza.

Due sconfitte di fila in un momento chiave della stagione sono un campanello d’allarme fortissimo. Il rischio è che la squadra abbia esaurito energie fisiche e nervose proprio nel momento in cui servirebbe il massimo. E questo, per una rosa costruita per vincere, non è ammissibile.

INZAGHI, IL MOMENTO PIÙ DURO: BISOGNA RIALZARSI SUBITO

Per Simone Inzaghi questo è probabilmente il crocevia più delicato della sua esperienza interista. Non tanto per la sconfitta in sé – pesante, certo, ma non irrimediabile nel bilancio complessivo della stagione – quanto per le modalità con cui è maturata e per le sue potenziali ripercussioni sul gruppo.

Nel derby il tecnico è sembrato spento, poco reattivo, quasi colpito in prima persona da un k.o. che si stava materializzando minuto dopo minuto. La reazione a bordo campo – seduto, nervoso, distaccato – non è passata inosservata, soprattutto in un momento in cui la squadra avrebbe avuto bisogno di un leader visibile, capace di trasmettere energia anche solo con lo sguardo o un gesto.

Le quattro sostituzioni in una volta sola, fatte più per disperazione che per strategia, hanno trasmesso l’impressione di una resa psicologica. Inzaghi ha sempre difeso il suo gruppo, ha saputo valorizzare molti giocatori e ha creato una squadra brillante, ma adesso si gioca tutto sulla capacità di toccare le corde giuste nei momenti di crisi.

Questa Inter ha dimostrato di avere un’identità chiara, di poter dominare in Italia e dire la sua in Europa. Ma ora serve un salto di qualità mentale. Tocca all’allenatore rimettere insieme i pezzi, lavorare sulla testa ancor prima che sulle gambe, ristabilire le gerarchie, motivare chi merita e – se serve – mettere da parte chi non è all’altezza.

Il calendario non aspetta: Roma in campionato e poi il Barcellona in Champions. Due snodi cruciali che diranno molto non solo sul finale di stagione, ma anche sul futuro dello stesso Inzaghi sulla panchina nerazzurra. È in queste settimane che si costruisce o si perde tutto. E la differenza, adesso più che mai, la fa chi guida.

MILAN, L’INTELLIGENZA DI CHI SA GESTIRE LA PARTITA GIUSTA

Se è giusto sottolineare i limiti dell’Inter, è altrettanto doveroso rendere merito al Milan per come ha interpretato il derby. I rossoneri, nonostante un rendimento deludente in campionato e una stagione segnata da alti e bassi, hanno saputo sfoderare la prestazione perfetta al momento giusto. Con umiltà, attenzione e cinismo.

La squadra di Sergio Conceicao ha lasciato all’Inter il palleggio e la pressione iniziale, ma non ha mai perso equilibrio. Ha colpito con intelligenza, sfruttando le poche vere occasioni con lucidità e massima efficacia. La compattezza difensiva, la qualità nelle ripartenze e la freddezza sotto porta hanno fatto la differenza.

In un contesto dove la stagione sembrava ormai compromessa, il Milan ha dimostrato di saper ancora dire la sua, almeno in Coppa Italia. E questo, per una squadra data troppo presto per morta, vale più di mille parole. I rossoneri hanno vinto da squadra vera, compatta e affamata. Complimenti, quindi, a chi ha saputo trasformare un derby in una lezione di maturità tattica e psicologica.

LA VERITÀ: QUALCUNO NON È DA INTER

Il derby ha fatto emergere, in modo impietoso, un’altra verità: non tutti i giocatori scesi in campo sono da Inter. E non è un giudizio a caldo, figlio della delusione. È la realtà che viene fuori quando la pressione è massima e la posta in palio è altissima. Alcuni elementi hanno mostrato limiti evidenti sotto ogni aspetto: tecnico, caratteriale e di personalità.

C’è chi si è nascosto nei momenti chiave, chi ha sbagliato appoggi elementari, chi ha perso duelli individuali decisivi, chi ha tradito le attese con un linguaggio del corpo rassegnato. Giocare per vincere lo scudetto e la Champions League richiede ben altro: una tenuta mentale da big, un’identità forte, la capacità di reggere la pressione senza crollare.

Inzaghi lo sa bene, e probabilmente è anche per questo che, al 2-0, si è seduto innervosito, quasi consapevole che in campo c’erano uomini che non riuscivano più a seguirlo, né con le gambe né con la testa. Il rischio è che alcuni profili, buoni per fare rotazioni in campionato, non siano sufficienti per affrontare le battaglie da dentro o fuori.

Un allenatore può mettere ordine, può dare un’identità, può motivare. Ma non può creare campioni dal nulla. E quando in una semifinale di Coppa Italia contro il Milan ti accorgi che stai giocando in dieci o in nove, allora il problema non è solo tattico. È strutturale.

DUE STRADE: AFFONDARE O RINASCERE

Arrivati a questo punto, l’Inter si trova davanti a un bivio netto: lasciarsi travolgere dalle delusioni o reagire con rabbia, orgoglio e consapevolezza. E per capirlo non ci sarà molto tempo. Domenica a San Siro i nerazzurri affrontano una delle partite più insidiose del campionato, contro una squadra in crescita, guidata sapientemente da un grande allenatore come Claudio Ranieri. È una gara spartiacque: perdere significherebbe compromettere pericolosamente la corsa scudetto, mentre vincere darebbe un segnale forte, dentro e fuori lo spogliatoio.

Ma la prova più affascinante e difficile arriverà subito dopo: la sfida di Champions League contro il Barcellona. Un match dal profumo di storia, di grande calcio, ma anche di trappole. I blaugrana arriveranno carichi o distrutti dopo aver disputato la finale di Copa del Rey contro il Real Madrid, in programma appena un giorno prima rispetto ai nerazzurri. E questo, se ben gestito, potrebbe essere un piccolo vantaggio sul piano fisico e mentale.

Tuttavia, per approfittarne, l’Inter dovrà arrivarci con la testa sgombra e il fuoco dentro. Servirà un reset immediato, un cambio di passo netto, perché il rischio di una crisi verticale è concreto. L’alternativa? Fare quadrato, ritrovare le certezze, chiudere le orecchie al rumore esterno e tornare ad essere quella macchina da punti ammirata tra inverno e primavera.

Inzaghi ha due partite per salvare una stagione che, fino a poche settimane fa, sembrava poter diventare leggendaria. E ora rischia, clamorosamente, di sfumare sotto il peso delle proprie paure.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.