Juventus
Fonte: profilo X Juventus

La crisi della Juventus è (soprattutto) di identità

La Juventus ha scelto di esonerare Igor Tudor e affidare la squadra a Massimo Brambilla, in attesa di valutare le soluzioni nell’immediato e nel futuro. Dall’addio di Massimiliano Allegri nel 2019, i bianconeri hanno esonerato 3 allenatori e l’unico durato più di un anno è stato proprio il tecnico livornese. Il problema, però, non può essere sempre l’allenatore: diversi fattori contribuiscono a una crisi che, sempre più, si configura di identità.

Quella frase di Boniperti

«Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta».

Questa frase, pronunciata da Giampiero Boniperti, giocatore simbolo e presidente della Juventus, riassume la filosofia di questa squadra nata nel lontanissimo 1897. Negli anni in cui dominava incontrastata o quasi il campionato italiano, questa massima è diventata una sorta di ossessione più per i tifosi delle squadre rivali che per quelli bianconeri, cullati da una capacità di imporsi in patria mai vista in Italia, nemmeno negli anni di altri cicli glorioso del nostro calcio come il Milan di Sacchi o l’Inter dei 5 scudetti consecutivi.

Tuttavia, negli ultimi anni questa frase si è trasformata in una sorta di maledizione: allenatori e giocatori si sono trovati a dover fare i conti con la necessità di portare a casa subito il massimo risultato possibile per poter riacquistare quello status di grande del calcio italiano.

Max Allegri
Allegri alla Roma: le parole di Galeone, tutta la verità – Credit Instagram Juventus (Lanotiziasportiva.com)

Ad oggi, la Juventus appare più come una grande decaduta, non perché retrocessa e ormai lontana dal calcio che conta nazionale e internazionale, ma perché schiava della sua ossessione di vincere e con una tifoseria che non riesce a digerire un passaggio di consegne nelle mani di Inter e Napoli: sono loro le squadre ad aver vinto più campionati dopo i 9 consecutivi della Vecchia Signora, con la felice parentesi del Milan di Pioli.

Con entrambe le squadre la tifoseria bianconera sente una fortissima rivalità e vedersi strappare il posto di favorita alla vittoria del campionato ogni anno, arrivando sempre a rinunciare allo scudetto nei primi mesi della stagione, non aiuta a migliorare l’umore di un ambiente che pretende sempre un capro espiatorio da incolpare.

Oggi è toccato a Tudor, domani chissà. Prima di lui, però, a farne le spese sono stati altri allenatori, tutti durati un anno o pochi mesi. Tutti. Tranne uno: Massimiliano Allegri. É da lui in poi che inizia la crisi di identità della Juventus.

Da Allegri… ad Allegri

C’è stato un momento nella storia recente della Juventus in cui tutti avevano una sola e unica certezza, anche i tifosi delle altre squadre: in un modo o nell’altro, i bianconeri avrebbero vinto il campionato.

Questa felice tradizione l’aveva iniziata Antonio Conte, chiamato a risollevare una Juventus tornata dalla Serie B ma reduce da due settimi posti consecutivi. Il tecnico salentino, forgiato dalla frase di Boniperti al punto da farne una filosofia di vita e lavoro, accetta la sfida e porta a casa tre scudetti in altrettanti anni. Poi, rompe improvvisamente con la società e la squadra viene affidata a Massimiliano Allegri.

Allegri Juventus
Fonte: profilo X Juventus

Il tecnico livornese lavora su un gruppo di giocatori abituati alla vittoria, con nomi importanti in rosa: a campioni del Mondo come Buffon, Pirlo e Barzagli, si aggiungono Chiellini, Pogba, Tevez. Tutti giocatori di caratura internazionale e in grado di trascinare la squadra alla vittoria anche solo con la propria leadership in campo, senza per forza segnare un gol.

La Juventus di Allegri è una squadra che guarda al sodo, proprio come quella di Conte, ma sarebbe poco corretto tralasciare anche la capacità della squadra di organizzare il gioco e dominare le partite a centrocampo, affidandosi a un palleggio efficace: Pirlo, Pjanic, Marchisio, tutti giocatori a cui Allegri affida le chiavi del centrocampo e da cui viene ripagato con una regia ordinata e pulita, capace di accelerare e abbassare il ritmo all’occorrenza.

Sarri Juventus
Fonte: profilo X Juventus

Magari non sarà bellissima a vedere (e influirà su questa idea, non poco, la nascita del Napoli di Sarri tutto velocità, triangolazioni e tocchi rapidi), ma i risultati danno ragione al tecnico livornese, che porta a casa 5 scudetti prima di cedere il passo alla “nemesi” per antonomasia della Juventus durante la sua gestione: Maurizio Sarri.

Da quel momento in poi, inizia una crisi vera e propria per la Juventus, non a livello di risultati (non subito almeno), ma a livello di identità, di cosa vuole essere in campo: difesa e concretezza oppure bel gioco?

Ad oggi, questa domanda ne apre solo altre. Per quanto riguarda Allegri, invece, tornerà sulla panchina della Juventus per provare a replicare i tempi gloriosi, ma nel mentre non solo il calcio italiano è cambiato, anche la Vecchia Signora: dura tre anni, porta a casa una Coppa Italia, critiche su critiche da parte di tutto l’ambiente ma, fin qui, è l’unico allenatore rimasto più di una stagione sulla panchina dei bianconeri dopo la fine della sua prima esperienza nel 2019.

Tra velleità e giocatori da coltivare

Con l’arrivo di Maurizio Sarri, la Juventus vira improvvisamente verso un calcio che, forse, non gli apparterrà mai davvero: il calcio del tecnico ora alla Lazio è fatto di giocatori che si sacrificano in fase difensiva, pressing continuo, triangolazioni, passaggi rapidi (massimo due tocchi), verticale e rapido di pensiero e giocata.

In squadre a caccia di riscatto, funziona meglio: il suo Napoli è perfetto perché trova un gruppo di giocatori scottato da una stagione precedente finita in malo modo, contestata dai suoi tifosi e in un clima di contestazione che prosegue dopo l’annuncio del nuovo allenatore. In queste condizioni, Sarri riesce a entrare nella testa dei suoi e convincerli a fidarsi, a seguire le sue idee perché i risultati arriveranno: i giocatori si divertiranno e, così facendo, sapranno anche esprimersi meglio in campo, trovando un’armonia di squadra che raramente si è visto su un campo da gioco.

Di fatto, sono le stesse condizioni che si ritrova Antonio Conte all’inizio della sua avventura a Napoli e che gli permetteranno di creare il successo della scorsa stagione.

Cristiano Ronaldo Juventus
Fonte: X

Alla Juventus, questo tipo di gioco appare come una velleità, un tentativo di avvicinarsi all’Europa ma con metodi sbagliati: i risultati non arrivano, o almeno non come vorrebbe la dirigenza e il feeling tra squadra e allenatore non scatta mai. Sarri vince uno scudetto, ma quasi per inerzia e la sensazione generale è che potrebbe essere davvero l’ultimo del ciclo della Juventus inaugurato da Antonio Conte. In Champions League la corsa dei bianconeri si ferma agli ottavi di finale contro il Lione, in una stagione surreale per l’interruzione a causa della pandemia da COVID-19. Nonostante sprazzi di gioco apprezzabili e vicini ai picchi del sarrismo, Sarri viene sollevato dall’incarico: lo scudetto è quasi una minuzia rispetto al grande obiettivo della Juventus, quello fallito con Allegri in panchina per due volte, ovvero la Champions League e già l’acquisto di Cristiano Ronaldo era indicativo di ciò.

Pirlo Juventus
Fonte: profilo X Andrea Pirlo

Tuttavia, dal 2020 quello che era assodato come un titolo in bacheca, diventa quasi un miraggio: inizia Andrea Pirlo, una scelta per avere sulla panchina bianconera una figura più affine allo stile Juve, che conosce l’ambiente ed è stato un grande giocatore. Tuttavia, è alla sua prima esperienza in panchina e si ritrova a gestire uno spogliatoio con giocatori affermati e giovani da far crescere, cercando un equilibrio che cammina su un filo sottilissimo. A fine stagione porterà a casa Coppa Italia e Supercoppa italiana, ma lo scudetto andrà all’Inter di Antonio Conte, dominatrice del campionato e si opta per l’addio.

Il ritorno di Allegri in panchina sembra riproporre quel modus operandi che aveva garantito i successi della Juventus negli ultimi anni, ma c’è un problema: la squadra che gli consegnano è ben diversa da quella che aveva lasciato, i senatori sono altri e ne vanno creati di nuovi, magari anche tra quelli già presenti come Rabiot, Vlahovic, Chiesa. Poi, come dimenticare un’idea di gioco che non sembra attecchire più con la stessa efficacia dei tempi migliori: il campionato italiano è cambiato, quelle che prima erano viste come vittime sacrificali della Juventus, sono tornate a ringhiare e competere per il primato e tutte si presentano con una filosofia di calcio che esalta un gioco bello alla vista, ma anche concreto.

L’emblema del fallimento del progetto Allegri-bis è un Napoli-Juventus che, metaforicamente e non, segna la resa del calcio cinico, che non bada allo stile: finisce 5-1 per i partenopei, che annichiliscono totalmente i bianconeri con il loro gioco e si dirigono, a vele spiegate, verso il terzo scudetto.

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C’è il tempo, però, per un ultimo trofeo, una Coppa Italia che mancava da Pirlo, ma anche per un esonero lampo subito dopo a causa della spropositata reazione di Allegri in finale di Coppa Italia contro le decisioni arbitrali: urla, cravatta tolta, giacca lanciata, la manifestazione fisica di un clima in casa Juventus sempre più pesante.

Ci sarà il tempo di aspettare?

Kenan Yildiz
Yildiz è il terzo marcatore juventino più giovane della storia del derby di Torino – Credit Instagram Kenan Yildiz (Lanotiziasportiva.com)

La Juventus non ha più una rosa di grandi campioni, abituati a vincere e competere a livello nazionale e non, ma si ritrova a dover fare i conti con un ricambio generazionale difficile, che attinge dalla Next-Gen materiale umano e sportivo da far crescere in casa. Perde, così, quella mentalità che aiuta a costruire successi, soprattutto quando sono richiesti nell’immediato. Ad oggi, la rosa bianconera è composta da buoni giocatori, alcuni molto interessanti e dal sicuro avvenire, ma privi di quell’esperienza che ha permesso i nove scudetti consecutivi.

Il secondo addio di Allegri apre al secondo tentativo di costruire una Juventus che guarda prima di tutto allo stile e poi alla concretezza. Si affida a Thiago Motta, reduce da una stagione da sogno con il Bologna, riportato in Champions League dopo 60 anni. La sfida per il tecnico in rampa di lancio non è delle più agevoli, ma la società gli mette a disposizione un direttore sportivo come Giuntoli (fautore del successo del Napoli) per assecondarne le richieste e creargli la miglior rosa possibile.

Thiago Motta Juventus
Thiago Motta, prime pesanti critiche dopo il pari di Lecce – Credit Instagram Juventus (Lanotiziasportiva.com)

Peccato che questo tentativo si traduca nell’addio di tutti i senatori e dei leader tecnici e di spogliatoio: i primi a salutare sono Szczesny e Rabiot, poi a gennaio toccherà a Danilo, capitano della Juventus cacciato come l’ultimo arrivato. La mancanza di leadership di questi tre giocatori, l’incapacità dei supposti nuovi leader di prendere per mano la Juventus e trascinarla alla vittoria, portano anche Thiago Motta sul patibolo, sacrificato insieme al suo progetto: la società lo pagherà fino al 2027.

Gli subentra Igor Tudor: in un modo o nell’altro, si torna sempre a una figura che ispira fiducia perché già inserito nell’ambiente bianconero, che ne conosce la mentalità. Il croato si fa valere nei pochi mesi a disposizione e centra la qualificazione in Champions League, ottenendo anche la conferma per la stagione successiva, dopo un vano inseguimento a Conte, che decide di continuare sulla panchina del Napoli.

Cristiano Giuntoli
Cristiano Giuntoli (lanotiziasportiva.com)

A salutare in estate sarà Giuntoli, responsabile (con gli allenatori) dei fallimenti recenti della Juventus in campionato. Peccato che la società non riesca a dare a Tudor una rosa adatta alle sue idee di gioco: le dichiarazioni del tecnico dopo la sconfitta di Como sono indicative di ciò e la rosa della Juventus le confermano. Si può notare una sovrabbondanza di giocatori offensivi (6, a cui si aggiungono Kostic e Cambiaso per le spiccate doti offensive) e molti meno per centrocampo e difesa, come se il solo problema dei bianconeri fossero gli attaccanti. Vlahovic, dato per partente tutta l’estate, alla fine è rimasto e deve giocarsi il posto con David e Openda, quest’ultimo un ripiego perché Kolo Muani non è arrivato (richiesta di Tudor). Non hanno aiutato gli esperimenti del tecnico croato: ha costruito la sua fortuna su un 3-4-3 offensivo, mentre con la Juventus ha scelto di giocare con la difesa a 4, per poi tornare sui suoi passi nelle ultime uscite, quando la situazione era ormai compromessa.

Igor Tudor
Igor Tudor (lanotiziasportiva.com)

Di quel furore agonistico che hanno caratterizzato le sue squadre non è rimasto nulla nell’ultimo mese della Juventus e anche la fas offensiva è diventata pericolosamente sterile: 399 minuti senza segnare, praticamente un mese.

Ora si parla di Spalletti per il futuro: difficile che arrivi a stagione in corso per il suo modo di fare calcio. Tuttavia, anche l’allenatore toscano rischia di finire nell’imbuto della Juventus: si creano progetti triennali, si crea la rosa per l’allenatore, ma non si dà il tempo di costruire. A Torino non sanno aspettare: abituati che vincere è l’unica cosa che conta, non riescono a capire che adesso è il momento dell’attesa, della costruzione per tornare grandi, altrimenti si finisce in un loop eterno di ambizioni già abbandonate a inizio stagione.

Se non si riesce a comprare quei giocatori abituati alla vittoria, a competere per i trofei più prestigiosi (o non permettono quel salto di qualità e mentalità necessario), allora non si potrà costruire una nuova Juventus vincente e a poco servirà un cambio di allenatore dopo l’altro. Solo così i bianconeri potranno riacquistare lo status perduto e riprendere quella filosofia vincente che ne ha caratterizzato la storia. D’altra parte, la storia insegna che i successi devi saperli costruire, accettando anche di fallire una stagione, accontentandoti di quanto ti lasciano le altre se ti ritrovi con qualche certezza in più a fine campionato. Inter e Napoli insegnano.

La Juventus saprà aspettare?

di Simona Ianuale

A proposito di Simona Ianuale

Appassionata di calcio dall'età di 5 anni e tifosissima del Napoli, oltre al sogno di aprire una casa editrice, vorrei poter trasformare questa mia grande passione in un lavoro.