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La notte più nera dell’Inter: 5-0 in finale e fine di un’illusione

Umiliati dal PSG, distrutti dai numeri e dai propri limiti: ora serve una rifondazione vera. Non bastano più parole, serve coraggio.

Cinque gol subiti. Nessuna reazione. Il sogno europeo dell’Inter si è infranto nel modo più umiliante possibile, con una sconfitta che non trova precedenti nella storia nerazzurra in una finale di Champions League, quella contro il Paris Saint-Germain, che doveva essere l’apice di una cavalcata costruita con sacrificio e ambizione, è arrivato il tonfo più doloroso e imbarazzante dell’era moderna.

Il 5-0 subito contro i francesi non è solo una débâcle tecnica. È il fallimento di una visione, di una strategia, di un gruppo che aveva scommesso tutto sulla Champions League e ha finito per non vincere nulla.

UN PROGETTO COSTRUITO SULL’ILLUSIONE

Quando è iniziata la stagione, l’Inter aveva scelto di non nascondersi. Dirigenti, allenatore e giocatori avevano puntato pubblicamente il mirino sulla Champions. Volevano tornare lì, dove tutto si era interrotto nel 2023 a Istanbul contro il Manchester City. E volevano vincerla.

Una scelta coraggiosa, certo, ma anche azzardata. Perché mentre il PSG nel corso delle ultime due stagioni costruiva una squadra funzionale, affamata e giovane, mentre l’Inter proseguiva sulla strada della continuità, della fedeltà al blocco storico. Età media più alta della competizione (28,5 anni), 59 partite stagionali già giocate prima della finale, una rosa spremuta fino all’osso. La realtà si è presentata nella forma più cruda possibile: il Paris Saint-Germain ha fatto sembrare la finale una partita d’allenamento. Due gol nei primi venti minuti, dominio totale, superiorità fisica, tattica, mentale. L’Inter? Mai in partita. Mai competitiva. Mai all’altezza.

A tutto questo si è aggiunta una campagna acquisti deludente, se non disastrosa, che ha portato a Milano giocatori logori, finiti, in evidente parabola discendente. Una scelta inspiegabile, specie per una società che si diceva pronta a competere con le grandi d’Europa. Scelte che sanno più di riempitivi che di programmazione, e che hanno lasciato Simone Inzaghi senza vere alternative quando più servivano.

E come se non bastasse, anche il campionato è sfumato sul filo di lana, con lo scudetto finito al Napoli per un solo punto. Una beffa che pesa come un macigno, anche perché arrivata dopo una serie di passi falsi apparentemente banali, ma figli di un gruppo arrivato scarico e senza alternative reali in panchina.

Una strategia che si è rivelata miope. Una scommessa persa.

Ma il tecnico ha le sue responsabilità. Perché è vero che ha guidato l’Inter in un’altra finale europea, ma è altrettanto vero che nelle partite decisive si è troppo spesso nascosto dietro il turnover, preservando i big in vista della Champions e sacrificando punti fondamentali in campionato, come nella gara con la Lazio, affrontata con una formazione a dir poco sperimentale. Il risultato? Un altro scudetto sfumato. E nessuna coppa da sollevare.

IL PESO DEI NUMERI E DEGLI ALIBI CHE NON REGGONO PIU’

  • 13 punti in meno rispetto alla passata stagione in Serie A

  • Coppa Italia persa 3-0 in semifinale dal Milan

  • Champions persa in finale con il peggior passivo di sempre

Tre obiettivi. Tre fallimenti.

E sì, si può parlare di calendario intasato, di età media alta, di stanchezza. Ma non bastano più. Non dopo una sconfitta del genere. Non dopo una finale seguita in tutto il mondo affrontata senza fame e senza anima.

L’Inter aveva un’identità europea fortissima, lo si è visto contro Bayern Monaco e Barcellona. Ma inspiegabilmente quella squadra sembrava sparita ieri sera. E con essa anche la lucidità tattica di Simone Inzaghi, mai davvero capace di cambiare il corso degli eventi.

UNA SQUADRA A FINE CICLO

Sabato sera non è stata solo una sconfitta. È stata una resa totale, che impone una riflessione profonda, scomoda, ma inevitabile: questa Inter è arrivata a fine corsa. La prestazione contro il Paris Saint-Germain è stata una delle più vergognose mai viste in una finale europea. Non c’è stato un solo giocatore in campo degno della sufficienza. Nessuno che abbia mostrato il coraggio, la personalità, o semplicemente l’orgoglio di indossare quella maglia in un’occasione del genere. Chi più, chi meno, tutti sono naufragati, chi travolto dal ritmo avversario, chi impalpabile, chi irriconoscibile.

Non è un problema solo di forma fisica o di calendario. È un fatto strutturale. Un gruppo logorato nelle gambe e nelle motivazioni, che ha dato tantissimo negli ultimi anni ma che oggi non ha più margine di crescita. Molti leader storici sembrano svuotati. I “nuovi” innesti si sono rivelati inadeguati. E la panchina, nei momenti di difficoltà, non ha mai davvero offerto soluzioni.

Il confronto impietoso con il PSG – più giovane, più veloce, più affamato – ha messo a nudo tutti i limiti di una squadra che ha vissuto troppo a lungo sul credito del passato. E che, quando è arrivato il momento di ripagare quel credito, è crollata sotto il peso delle proprie illusioni. Il rischio ora è restare immobili, schiavi della nostalgia e del “siamo comunque arrivati in finale”. No. Non basta più. Non si può parlare di grande stagione quando si falliscono tre obiettivi su tre.

Chi ha finito la benzina, faccia un passo indietro. Chi ha esaurito le idee, lasci spazio. L’Inter merita un progetto nuovo. E i tifosi meritano verità, non coperture. Molti giocatori chiave di questa Inter sono a fine corsa. Non solo per l’età, ma per esaurimento emotivo. Lo si è percepito in campo, nei volti svuotati, nei cambi tardivi, nei contrasti non vinti. Il confronto fisico e mentale con i giovani del PSG – Doué, Mayulu, Kvaratskhelia – è stato devastante.

Serve rifondare. Serve scegliere. Serve il coraggio di staccarsi dal passato.

Inzaghi merita rispetto, ma non è più intoccabile. Anche lui, come la squadra, è arrivato al bivio.
Deve decidere una volta per tutte cosa vuole fare: restare e guidare una rifondazione tecnica e mentale, oppure accettare la ricchissima offerta dall’Arabia Saudita e chiudere un ciclo che, per quanto solido, è ormai esaurito.

E molti leader dello spogliatoio vanno valutati senza sentimentalismi. I trofei del passato recente non possono giustificare un presente così opaco.

IL PESO DELLA MEMORIA: L’OMBRA DEL TRIPLETE

Questa stagione doveva essere la nuova grande Inter europea. Si parlava di “triplete”, parola sacra, intoccabile. E invece, la stagione si chiude con zero titoli. Una copia sbiadita di quel 2010, evocato troppo spesso e con troppa leggerezza. Questa è stata la peggior finale della storia interista. E questo resterà. Non i sogni, non i proclami, non gli hashtag. Solo una realtà che brucia.

Il Triplete del 2010 non è solo una conquista irripetibile: è anche l’ultima fotografia di un calcio che non esiste più. Quelli erano altri tempi. Il calcio europeo non era ancora stato conquistato dalle proprietà arabe, cinesi, americane o – in parte – russe. Il denaro contava, ma non dominava. Il campo aveva ancora margini per la sorpresa, per il coraggio, per la costruzione identitaria.

Oggi, invece, la Champions League è diventata una corsa a eliminazione per club-stato o multinazionali con bilanci da petrodollari. Il PSG è solo l’ultimo esempio di un modello ormai dominante, fatto di risorse illimitate, di progetti industriali, non solo sportivi. E davanti a tutto questo, puoi anche arrivare in finale. Ma lì, dove il talento incontra la potenza economica pura, non c’è più nulla da fare.

L’Inter ha provato a competere con l’intelligenza tattica, con l’esperienza, con l’orgoglio. Ma quando il campo ha chiesto energia, idee, gamba e mentalità, la differenza per tutte le squadre italiane è diventata un abisso. E allora anche il richiamo alla storia diventa vuoto. Non si vincono le Champions evocando il passato. Servono basi nuove, solide, moderne.

Il 2010 è leggenda. Ma restare legati solo alla memoria rischia di diventare una condanna.

E ADESSO?

Il 5-0 subito in finale non è solo la peggior sconfitta della storia dell’Inter in Europa: è un’umiliazione che segna una frattura profonda tra la squadra e il suo popolo. Una frattura che non si ricuce con dichiarazioni social o scuse postate all’alba. Non si pretende la vittoria sempre, ma si pretende rispetto. E questa Inter, nell’ultima partita che contava, ha mancato proprio quello: il rispetto per la propria maglia, per la propria gente, per la propria storia.

I tifosi, quelli veri, quelli che erano a Istanbul nel 2023, quelli che cantano sotto la pioggia in tutti gli stadi, meritavano un altro finale. Non questo naufragio senza orgoglio. È tempo di rifondare. Di scegliere. Di avere il coraggio di voltare pagina. Chi non ha più nulla da dare, faccia un passo indietro. Chi non regge più certe pressioni, lasci spazio a chi ha ancora fame.

Perché l’Inter non può permettersi un altro 5-0. Non può permettersi un’altra vergogna come questa. Adesso non servono scuse. Ma soprattutto serve lucidità.

Perché questo gruppo, così generoso e coeso fino a un mese fa, ha dato tutto. E ha fallito. Ora si riparte. Ma non con le stesse facce, gli stessi discorsi, le stesse illusioni.

Non basta più “essere competitivi”. È tempo di tornare a essere vincenti. Soprattutto, bisogna non fare più brutte figure come quella di ieri sera.

Perché una finale persa ci può stare. Ma una resa senza dignità, no. Mai.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.