Quagliarella, il Prof del goal, saluta il calcio tra ricordi indimenticabili

Il “Professore di Castellammare”, Quagliarella, si ritira dopo una carriera da funambolo, tra colpi da maestro e prodezze balistiche indimenticabili

Con il ritiro di Fabio Quagliarella, il nostro calcio perde non solo uno straordinario goleador ma anche uno degli ultimi artisti di un calcio d’altri tempi, fatto ancora di tocchi vellutati, dribbling ubriacanti e tiri a giro da spellarsi le mani.

Appartiene alla nobiltà del pallone, al pari di quei principi del gol che furono Baggio, Del Piero o Totti. Non è un caso che compagni e tifosi lo chiamassero “Il Professore”: nei suoi colpi da funambolo, nella sua eleganza innata, era come se rivivesse lo spirito del più compianto numero 10 della storia azzurra. E come Roberto Baggio, anche Quagliarella lascia con l’amaro in bocca, con la sensazione che con un pizzico di fortuna in più avrebbe potuto regalarci altre perle preziose. Ma nel calcio, si sa, anche le favole più belle prima o poi finiscono. E quella disegnata per 20 anni sui campi dal talento cristallino di Fabio merita solo il più caloroso degli applausi.

LA FANTASIA AL POTERE

Nella terra dei giganti dai piedi fatati, Quagliarella era il piccolo principe venuto da Castellammare, con quel suo 1.80 cm che lo rendeva quasi modesto fra i totem. Ma Fabio, proprio come i grandi, parlava il linguaggio universale della fantasia: stop e tiro al volo, sterzate secche da far invidia a una Ferrari, tiri a giro meravigliosi. Ed era proprio quando prendeva la mira dal limite, accarezzando dolcemente il pallone prima di scoccare il suo colpo da biliardo, che il tempo sembrava fermarsi. E quello scavetto sotto la traversa pareva sfidare la forza di gravità.

Quella di Quagliarella è stata una carriera in technicolor, come certe pellicole che oggi non si fanno più. Un film d’autore che profumava di nostalgia, capace di evocare i fasti del nostro calcio che fu. Perché in Fabio rivivono i fantasisti di una volta, quelli che in campo si vestivano da poeti. Lui che volteggiava tra le linee nemiche come Baggio, fulminava sotto porta come Filippo Inzaghi, disegnava traiettorie impossibili come Francesco Totti. Un artista fuori dal tempo, troppo raffinato per i ritmi forsennati del pallone moderno del terzo millennio.

Di vini pregiati ce n’è tanti, ma solo i più raffinati migliorano invecchiando. Lui è stato questo: un Barolo d’annata, capace di esaltarsi col passare degli anni. Ha cominciato a stappare il suo talento da giovanissimo, bruciando le tappe dalla giovanili del Torino, al Chieti e a quell’assurdo periodo della Florentia Viola in Serie C, alla Serie A in un lampo, con quel colpo vellutato che aveva il sapore dolce del moscato. Poi è arrivata la consacrazione, i primi scudetti, le convocazioni in Nazionale. Eppure, come i grandi, il meglio lo ha regalato dopo i 30. Tra i “vecchietti” del campionato non ce n’era uno più decisivo di lui.

Anno dopo anno continuava a migliorare, invecchiando alla rovescia, con colpi da sommelier di classe cristallina. E oggi, a 40 anni suonati, lascia il calcio come si stappa il migliore spumante: tra gioia, rimpianti e brindisi per una carriera da assaporare a piccoli sorsi.

L’IMMORTALE

Nella carriera di ogni attaccante, c’è sempre quella stagione da incorniciare. Quella in cui tutto sembra facile come bere un bicchiere d’acqua, in cui la palla entra anche ad occhi chiusi, come se ci fosse una calamita sotto la traversa. Per Quagliarella, quella stagione magica è il 2018/2019. A 36 anni suonati, quando molti suoi colleghi sono già dietro una scrivania, Fabio decide di regalarsi il miglior campionato della vita. Trascina la Samp a suon di gol, imprese impossibili, punizioni all’incrocio: una perla dietro l’altra, come infilasse le biglie in una boccia. Arriva persino davanti a CR7 (21) nella classifica marcatori con 26 reti, prima di entrare di diritto nella storia. Batte ogni record di anzianità, segna per 11 partite di fila come solo il magnifico Gabriel Batistuta. Il ragazzino che sognava di diventare come il ‘Re Leone’, a distanza di anni, lo eguaglia davvero. Nel cerchio della vita, tutto torna. Così Fabio, nel tramonto della carriera, si prende la sua rivincita.

Nei suoi vent’anni di onorata carriera, Quagliarella ha girato tanto: dalla sua Castellammare alla Torino bianconera, passando per Udine, Napoli e Genova. Ma sono i colori blucerchiati, alla fine, ad averlo adottato come figlio prediletto. Alla Samp Fabio ha messo radici, ha trovato una nuova casa in cui sentirsi amato, coccolato dai tifosi come fosse uno di loro. E lui li ha ripagati a suon di gol, pennellate d’autore, capolavori balistici. Quasi 100 reti con quel blasone cucito sul petto, che lo issano fra i bomber più prolifici nella storia della Doria. Numeri da capogiro per chi, come ‘Quaglia’, ha fatto dell’umiltà e del lavoro i suoi principi cardine.

Per 20 anni Fabio è stato l’artista del nostro pallone, capace di pennellate magiche che non smetteremo mai di rivedere e rimpiangere. Grazie Prof: in pochi sapranno dipingere calcio come te.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.