Il 22 agosto 2016 si corre a Rio de Janeiro la maratona, la disciplina olimpica per antonomasia nonché gara conclusiva dei Giochi olimpici di Rio. Sul podio trovano posto un atleta kenyota, un atleta etiope e un atleta americano, Rupp, che riesce nell’impresa di tenersi alle spalle un eritreo e un tanzanese, cosa non da poco visto lo strapotere africano nella maratona e nelle gare di fondo in generale.
Kipchoge, l’atleta kenyota, vince con un tempo non eccezionale, 2 ore 8 minuti e 44 secondi, ma si sa che alle Olimpiadi si cerca il piazzamento più che il tempo, e resta il fatto che anche con questo cronometro non eccezionale Kipchoge riesce a mettersi alle spalle l’etiope Feyisa Lilesa, che fino all’ultimo chilometro gli rimane attaccato prima di desistere e limitarsi a controllare alle sue spalle che non sopraggiunga l’americano Rupp. Lo statunitense ha però più di dieci secondi di ritardo e quindi Lilesa si rilassa: ci sono le condizioni ideali per attuare ciò che ha in mente.
Cosa accade in Etiopia?
L’Etiopia è un Paese enorme: 1.128.000 kmq e 105 milioni di abitanti, è il secondo Stato più popoloso del continente africano. I suoi 105 milioni di abitanti sono divisi in circa 80 etnie e nel Paese si parlano più di 200 dialetti.
Nel 1991 i vari movimenti di liberazione nati nel Paese riescono a deporre il presidente Mengistu Haile Mariam e si fondono in un unico partito, noto con l’acronimo EPRDF (Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope). Anche se nel nome il partito porta l’aggettivo “democratico” di democrazia vera e propria in Etiopia se ne vede ben poca: non esiste il multipartitismo e il EPRDF è al governo da ventisette anni ininterrotti. Questo partito, essendo nato come detto da vari movimenti di liberazione che si muovevano su base etnica, al suo interno fa convivere diverse realtà etiopi e non sempre il rapporto è idilliaco tra le varie fazioni.
Una curiosità legata al mondo politico etiope: i Tigrè, gruppo etnico che rappresenta solo il 6% della popolazione totale, ha dal 1991 il controllo completo del partito e, grazie a questo, delle forze di sicurezza, dell’intelligence e dell’economia dello Stato. Gli altri gruppi etnici gli sono subordinati e i Tigrè, grazie ai loro rappresentanti al governo, godono di benefici e libertà nettamente maggiori rispetto ai compaesani appartenenti ad altri gruppi.
A fare da contraltare ai Tigrè c’è la situazione degli Oromo. Questi sono il gruppo etnico più grande del Paese e rappresentano circa un terzo della popolazione etiope. Gli Oromo vivono nella regione dal quale prendono il nome, l’Oromia, che si trova nella zona sud-ovest dello Stato e circonda la capitale Addis Abeba. Da sempre sono perseguitati e godono di libertà limitate e dal 1991 al 2017 un Oromo non è mai stato primo ministro del Paese.
Nel novembre 2015, e così arriviamo al nocciolo della nostra storia, il governo etiope propone un piano di espropri di terreni, tutti di proprietà di cittadini Oromo, per espandere i confini amministrativi della capitale. Da subito scatta la mobilitazione oromo contro il piano del governo e le proteste iniziano a susseguirsi una dopo l’altra, tanto che a gennaio 2016, di fronte al non placarsi delle proteste, il governo ritira la proposta, sperando che ciò basti a riportare la calma nella regione di Oromia. Ma questa proposta, seppur ritirata, è la tipica goccia che fa traboccare il vaso: da troppi anni gli Oromo subiscono in silenzio le scelte e le politiche del EPRDF, il partito politico che dovrebbe rappresentarli in teoria, visto che all’interno di esso è presente anche la componente Oromo, ma che in realtà si è sempre impegnato per contrastare ogni tipo di politica che potrebbe favorire, anche minimamente, la loro etnia. Le manifestazioni proseguono e la risposta di istituzioni e forze dell’ordine si fa sempre più decisa: iniziano ad esserci i primi arresti e i primi morti, la polizia spara ad altezza uomo in mezzo ai cortei non autorizzati facendo aumentare ancora di più la rabbia e la frustrazione dei manifestanti. Chi non rimane ucciso e non viene incarcerato continua a riorganizzarsi e a riscendere in piazza, come se nemmeno l’alta possibilità di rimetterci la vita fosse un deterrente abbastanza forte per farli desistere.
Dopo le prime uccisioni i manifestanti scendono nelle strade non più per difendere le loro terre dagli espropri ma per difendere, ancora più nobilmente, i diritti umani. Nelle piazze delle proteste vengono richiesti a gran voce giustizia per i morti ammazzati e libertà per gli incarcerati politici. Ma il governo sembra non sentirci. Il 6 e 7 agosto 2016 sono due giorni caldissimi della protesta. Alla regione di Oromia si è aggiunta anche la regione di Amhara alle proteste e in quella due giorni, nelle varie manifestazioni, rimangono a terra uccisi più di cento manifestanti (fonti di Human Rights Watch, mai confermate dal governo locale). Per paura della diffusione delle immagini dei tantissimi manifestanti uccisi il governo blocca internet per due giorni, isolando in questo modo l’Etiopia dal resto del mondo. Piano piano però iniziano a circolare le voci e le testimonianze di alcuni manifestanti che vennero arrestati durante la due giorni di mobilitazione e i racconti da loro rilasciati fanno rabbrividire. I testimoni raccontano di essere stati appesi al soffitto per le caviglie e picchiati per diverse ore; altri hanno subito scosse elettriche; le donne, almeno la maggior parte, sono state stuprate, alcune anche a più riprese. Tutto questo avviene per mano dell’esercito dello stesso Paese dei torturati e possiamo perciò definire l’Etiopia uno Stato sull’orlo della guerra civile.
Olimpiadi megafono politico
Il 22 agosto 2016 alla maratona olimpica di Rio de Janeiro Feiysa Lilesa arriva secondo. Prima di tagliare il traguardo si volta per assicurarsi di non avere avversari alle spalle pronti a sorpassarlo e, una volta accertatosi di ciò, continua a correre alzando le braccia ed incrociandole sopra la testa, andando a formare il gesto delle manette. Feiysa Lilesa è un Oromo e quel gesto è il simbolo delle proteste della sua gente. Salendo sul podio Lilesa ripeterà il gesto ripreso ancora una volta dalle tv di tutto il mondo, “obbligando” il governo etiope a non mandare in onda la replica della gara per paura di nuove sommosse popolari nella regione di Oromia.
Finita la premiazione, Lilesa si trova attorniato da una miriade di telecamere e microfoni che attendono la sua spiegazione al gesto che è stato appena trasmesso in ogni angolo della Terra.
“Il governo etiope sta uccidendo la mia gente e per questo ho incrociato le mani a X, imitando il gesto simbolo delle nostre proteste. I miei parenti sono in prigione e se si mettono a parlare di diritti democratici verranno ammazzati. Se torno in patria rischio la vita e se non vengo ucciso potrei finire in prigione. Non ho ancora deciso cosa fare, ma forse andrò direttamente in un altro Paese”.
Finita la gara Lilesa parte per gli Stati Uniti, dove trova asilo politico a Flagstaff, Arizona.
Guerra civile o svolta epocale?
Le proteste nella patria di Lilesa non conoscono però fine: si stima che a inizio 2018 siano cinquantamila gli Oromo che hanno lasciato il Paese e trovato accoglienza nel confinante Kenya.
Il 15 febbraio di quest’anno, travolto dalle continue proteste popolari, il primo ministro Hailemariam Desalegn rassegna le sue dimissioni, dando vita ad una nuova fase di contrattazioni all’interno dell’EPRDF. Le cose sembrano mettersi per il peggio già il giorno successivo le dimissioni di Delasegn, con il partito unico che dichiara lo “stato d’emergenza” nel Paese. La paura di tutti è che ci si avvicini ad una rottura insanabile tra le componenti Tigrè, Oromo e Amhara e che la situazione precipiti inevitabilmente in una guerra civile. Le proteste popolari riprendono vigore e le vie d’accesso alla capitale vengono bloccate dai manifestanti che hanno tutte le intenzioni di tirare dritti per la loro strada con le proteste fino a che l’EPRDF non troverà una soluzione all’impasse governativa. Nonostante il dispiego dell’esercito e della polizia la situazione non sembra calmarsi e così il partito decide per una svolta epocale: il 2 aprile 2018 Abiy Ahmed Ali viene nominato primo ministro. Per la prima volta nella storia un Oromo guiderà l’Etiopia. Dopo tre anni di proteste, migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati gli Oromo hanno vinto la loro battaglia. Le morti non sono state vane.
A rendere ancora più importante ed epocale questo cambio al vertice del potere politico etiope vi è la dichiarazione di pace firmata lo scorso 8 luglio dal nuovo primo ministro Ahmed con il suo omologo eritreo: grazie a questa dichiarazione si pone fine allo “stato di guerra” tra i due Paesi. A fine giugno Ahmed aveva dichiarato che l’Etiopia avrebbe rinunciato alle rivendicazioni territoriali in Eritrea, che furono nel 1998 la miccia che fece scoppiare la sanguinosissima guerra tra i due Stati.
Per concludere in bellezza un’ultima notizia: Feiysa Lilesa, colui che ha fatto conoscere al mondo ciò che stava accadendo a casa sua utilizzando lo sport e i Giochi olimpici come megafono planetario, confermandoci ancora una volta l’importanza socio-politica dello sport, ha fatto ritorno a casa: domenica scorsa, 21 ottobre, Lilesa è sbarcato all’aeroporto di Addis Abeba accolto da diversi alti funzionari etiopi.
“C’è stato un bel cambiamento nel Paese, ora le persone possono esprimere liberamente le loro opinioni e condannare il governo. La mia solidarietà va ai martiri che hanno sacrificato le loro vite e mi hanno restituito la libertà di tornare nel mio Paese e unirmi alla mia famiglia. Voglio tornare alle competizioni, sono fiducioso che otterrò buoni risultati per il mio Paese e per me stesso”.
Ogni tanto nascono ancora dei Tommie Smith e dei John Carlos.
(Fonti per l’articolo: Africa rivista; The Zeppelin; Treccani; Huffington post; Gli occhi della guerra; Internazionale)
Di Davide Ravan