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Miura sfida il tempo: a 59 anni giocherà in prestito al Fukushima United

Dal Genoa al Giappone, passando per Brasile ed Europa: Kazuyoshi Miura continuerà a giocare anche nel 2026, dominando la classifica dei calciatori più longevi di sempre e trasformando la sua carriera in una leggenda senza fine

Il tempo, nel calcio, di solito è un giudice severo. Non fa sconti, non concede appelli. Scorre, consuma, archivia. Eppure c’è un uomo che da quarant’anni lo guarda negli occhi senza abbassare lo sguardo. Kazuyoshi Miura, per tutti Kazu, non sta semplicemente allungando una carriera: sta raccontando una storia che somiglia sempre di più a una leggenda orale, tramandata di stagione in stagione come un rito antico.

Nel 2026 sarà ancora in campo. A quasi 59 anni. Con una nuova maglia quella del Fukushima United (Serie C nipponica), la sedicesima, in un viaggio iniziato quando il calcio era un altro mondo, i campi erano più ruvidi e i sogni meno globali. Miura non gioca più per stupire, gioca per restare fedele a sé stesso. E forse è questo il segreto che lo tiene in piedi mentre tutto intorno cambia.

La sua storia non parte dal Giappone patinato della J-League moderna, ma dal Brasile degli anni Ottanta, dove un ragazzo asiatico di quindici anni si perde tra Santos, Palmeiras e campionati statali, imparando che il pallone è una lingua universale. Torna in patria, diventa simbolo, poi attraversa mezzo mondo fino all’Italia, dove nel 1994 indossa la maglia del Genoa. Un solo anno, un solo gol, ma eterno: quello nel derby contro la Sampdoria. È il primo giapponese a segnare in Serie A. Un frammento di storia inciso per sempre.

Di sconosciuto – Giappone, Kazu Miura in gol a 48 anni, su ansa.it, 5 aprile 2015., Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=5771750

Poi il tempo riparte, ma Kazu no. Torna in Giappone, vince con i Verdy Kawasaki, segna, invecchia senza invecchiare davvero. Quando a cinquant’anni segna ancora, il calcio smette di contare le primavere e inizia a contare i decenni. Quando gioca negli anni ’80, ’90, 2000, 2010 e 2020, il record diventa quasi imbarazzante per chi prova a inseguirlo. E quando, nel 2023, torna in Europa con l’UD Oliveirense, a 56 anni, sembra voler dimostrare una cosa semplice: non esistono continenti troppo lontani per chi ama davvero questo sport.

Intorno a lui, la storia del calcio sembra un lungo corridoio popolato da uomini che hanno camminato più a lungo degli altri, rallentando il passo solo quando il corpo ha imposto la resa. Roger Milla che ballò ancora a 42 anni ai Mondiali in USA nel 1994, trasformando la longevità in gioia collettiva; Gianluigi Buffon, sentinella di un’epoca che saluta il campo a 45 anni dopo aver attraversato tre generazioni di attaccanti; Romario che a 58 anni torna a segnare accanto al figlio, confondendo il confine tra passato e presente; Stanley Matthews, Sir per vocazione, capace di giocare fino a cinquant’anni quando il calcio era fatica, vento e fango; Peter Shilton che fino ai 47 anni attraversa quattro decenni come una roccia, accumulando presenze e silenzi.

Poi Marco Ballotta, eterno numero uno capace di difendere una porta oltre i 44 anni; Andrea Pierobon, simbolo di una carriera vissuta nell’ombra ma spinta fino al limite fino al 2015 a 45 primavere; John Burridge, nomade del calcio inglese, 29 squadre in 29 stagioni ritiratosi a 46 anni; Essam El Hadary, che a 47 anni diventa immortale ai Mondiali come il più anziano di sempre; Kevin Poole, 51 anni, a lungo primatista per longevità; fino a Robert Carmona, che a oltre sessant’anni riscrive i confini del possibile. Grandi, enormi, ostinati. Tutti, prima o poi, hanno accettato l’ultimo fischio. Tutti hanno salutato il campo. Tutti tranne Miura, che non si limita a sfidare il tempo: lo costringe, stagione dopo stagione, a rincorrerlo.

Nel suo eterno giro del mondo c’è spazio anche per parentesi meno raccontate ma cariche di significato. In Europa orientale Miura indossa la maglia del Croazia Zagabria, esperienza breve ma simbolica, vissuta in un calcio duro e identitario, lontano dai riflettori ma vicino all’essenza del gioco, dove ogni allenamento era una prova di adattamento culturale prima ancora che tecnico.

Anni dopo, quando per molti sarebbe stato già tempo di nostalgie, Kazu sceglie l’Oceania e vola in Australia per vestire i colori del Sydney FC, portando la sua figura iconica in un campionato giovane e in crescita, fino a calcare il palcoscenico del Mondiale per Club. Due tappe lontane, diverse, quasi opposte, unite però dallo stesso filo rosso: la volontà di non fermarsi mai e di misurarsi con il calcio ovunque esso chieda ancora di essere vissuto.

Miura si ritira. Miura gioca.

Gioca perché il calcio, per lui, non è un mestiere né una nostalgia. È identità. È respiro. È l’idea che finché puoi allacciarti gli scarpini, puoi ancora raccontare qualcosa. Ogni suo rinnovo non è una notizia di mercato: è un capitolo nuovo di una favola che non vuole il lieto fine, ma la continuità.

Forse un giorno si fermerà davvero. Forse no. Ma quando accadrà, il calcio dovrà accettare una verità scomoda: non è stato lui a sfidare il tempo. È stato il tempo, per quarant’anni, a rincorrere Kazuyoshi Miura senza mai riuscire a prenderlo.

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