Dal Ghana alla Germania, dall’Olanda all’Indonesia: i legami di famiglia si intrecciano con il destino del calcio, regalando sfide fraterne epiche e percorsi unici verso il sogno Mondiale
Nel calcio, come nella vita, le storie più belle nascono dalle contraddizioni. Non bastano i cognomi uguali, le stesse radici familiari o le domeniche trascorse da bambini a rincorrere un pallone in giardino per determinare un futuro identico. Ci sono scelte, opportunità, incroci di destino che trasformano due fratelli in due percorsi diversi, due bandiere, due identità. L’orgoglio di una madre, le origini di un padre, la nazione che ti ha visto crescere o quella che ti ha accolto: tutto questo pesa nel momento in cui si decide quale maglia indossare.
C’è un momento, nella vita di ogni calciatore, in cui le radici e il cuore si incontrano. A volte però non parlano la stessa lingua, non sventolano la stessa bandiera. Così nascono quelle storie affascinanti, quasi romanzesche, di fratelli che calcano lo stesso prato ma con colori diversi sul petto. Uniti dal sangue, divisi dal destino.
E proprio in questa tensione tra appartenenza e scelta si racchiude il fascino dei fratelli “diversi”: icone di un calcio che sa essere universale e personale al tempo stesso, capace di raccontare la storia di intere famiglie attraverso una semplice maglia indossata il giorno di una partita.
Dallo stesso cognome a nazionali opposte: storie di fratelli e di scelte
I fratelli Reijnders sono l’ultimo capitolo di questa saga affascinante. Tijjani, sbocciato al Milan e oggi regista di Guardiola al Manchester City, è ormai il cuore del centrocampo olandese di Ronald Koeman. Eliano, invece, ha scelto la strada della madre Angelina Lekatompessy, vestendo la maglia dell’Indonesia, Paese che non partecipa a un Mondiale dal lontano 1938, quando ancora era colonia olandese. Due fratelli che si guardano da lontano, uno illuminato dai riflettori d’Europa, l’altro simbolo di un sogno collettivo che si chiama qualificazione mondiale. Olanda e Indonesia: due mondi diversi, ma uniti dallo stesso cognome e da una storia familiare che profuma di radici intrecciate.

E poi ci sono i fratelli Williams, nati e cresciuti nell’utopia calcistica dell’Athletic Bilbao. Iñaki è stato il primo a farsi conoscere, un’ala devastante e instancabile. Ma mentre il fratello minore Nico ha brillato con la Spagna campione d’Europa 2024, lui ha scelto un percorso tutto suo. Prima la Roja, con una presenza che non ha lasciato traccia, poi la selezione non riconosciuta dei Paesi Baschi, e infine il Ghana, patria del padre. Tre maglie diverse per lo stesso giocatore: un unicum che racconta perfettamente la complessità dell’identità moderna.
Il caso più celebre, però, resta quello dei Boateng. Kevin-Prince e Jerome, fratelli di sangue e di talento, ma divisi dal destino. Uno ha seguito la Germania, l’altro il Ghana. Si sono ritrovati faccia a faccia addirittura in due Mondiali consecutivi, nel 2010 e nel 2014. L’immagine dei due in campo, uno contro l’altro, con il pubblico del mondo intero come testimone, è diventata l’emblema di ciò che significa appartenere a due realtà diverse pur condividendo la stessa famiglia. Un derby mondiale che nessun regista avrebbe saputo scrivere meglio.
Non serve andare lontano per trovare altri esempi. In Italia, i fratelli Vieri hanno scritto una pagina meno nota ma altrettanto affascinante. Christian, “Bobo”, bomber azzurro capace di trascinare la Nazionale a colpi di gol. Massimiliano, il fratello minore, che invece ha scelto l’Australia, terra in cui era nato quando papà Roberto giocava nei Marconi Stallions. Così, mentre uno sognava i Mondiali con l’Italia, l’altro sollevava la Coppa d’Oceania con i Socceroos.
Alla fine dell’Ottocento la storia dei fratelli Goodall aprì la strada a un fenomeno che avrebbe attraversato generazioni: John scelse l’Inghilterra, Archie la Scozia, regalando al calcio uno dei primi casi documentati di fratelli divisi da due bandiere. Un secolo più tardi lo stesso destino ha coinvolto la famiglia Troost-Ekong: Wilfried, rimasto nelle giovanili olandesi, e William, diventato capitano e simbolo della Nigeria, patria della madre. E ancora, in Sudamerica, il cognome Romero Gamarra racconta un’altra vicenda di scelte opposte: Alex, fantasista dei New York Red Bulls, convocato dall’Argentina, e il fratello Hugo, che ha preferito il Paraguay, onorando così le radici della famiglia. Storie diverse nel tempo e nello spazio, ma unite da un filo comune: il calcio come specchio delle identità multiple, capaci di far convivere nello stesso sangue bandiere lontane.
Un’altra famiglia che ha diviso il proprio destino tra bandiere diverse è quella degli Alcántara. Thiago, nato in Italia a San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi, ma cresciuto in Catalogna, ha deciso di vestire la Roja, portando eleganza e visione nel centrocampo spagnolo. Rafinha, invece, pur avendo fatto tutta la trafila giovanile nelle selezioni iberiche, ha seguito il richiamo del Brasile del padre Mazinho, fino a vincere l’oro olimpico a Rio 2016. Due fratelli cresciuti nel Barcellona, due carriere parallele ma segnate da scelte diverse, quasi a rappresentare l’eterna tensione tra cuore e opportunità.
Non meno singolare la storia dei Pogba. Paul, il più celebre, leader della Francia campione del mondo nel 2018, ha incarnato il talento e la gloria. Florentin e Mathias, meno fortunati ma altrettanto fieri, hanno deciso di onorare la Guinea, terra d’origine dei genitori. In questo caso il cognome è lo stesso, ma le maglie hanno raccontato due storie distinte, due identità che convivono nello stesso sangue.
Tra i casi più curiosi ci sono anche i gemelli Ramiro e Rogelio Funes Mori. Nati a Mendoza, in Argentina, hanno condiviso la stessa infanzia e lo stesso sogno calcistico, ma con destini internazionali diversi. Ramiro, difensore centrale, ha seguito la via più naturale: quella della Selección argentina, con cui ha collezionato presenze importanti tra il 2014 e il 2019. Rogelio, invece, attaccante prolifico, dopo un lungo percorso in Messico con il Monterrey, ha ottenuto la cittadinanza sportiva e dal 2021 ha scelto di rappresentare la Tricolor. Due fratelli identici nell’aspetto, ma con maglie che raccontano due storie opposte: l’Argentina della nascita e il Messico dell’adozione sportiva.
Un’altra vicenda che merita di essere raccontata è quella dei fratelli Cahill. Tim, leggenda dell’Everton e simbolo assoluto dell’Australia, ha segnato 50 gol in 108 presenze, diventando il miglior marcatore della storia dei Socceroos e trascinandoli in quattro edizioni consecutive dei Mondiali, dal 2006 al 2018. Un’icona capace di portare la propria nazionale a livelli mai visti prima. Dall’altra parte, suo fratello Chris ha scelto la strada meno battuta ma altrettanto identitaria: le Isole Samoa, patria della madre. Una scelta che non ha portato riflettori o coppe, ma che ha raccontato con semplicità la forza delle radici e l’orgoglio di rappresentare le proprie origini, anche lontano dai palcoscenici più celebrati.

E infine i fratelli Xhaka, che hanno avuto addirittura l’occasione di sfidarsi in una competizione ufficiale. Euro 2016 mise di fronte Granit, simbolo della Svizzera, e Taulant, cuore dell’Albania. Per la nazionale albanese fu la prima storica partecipazione a una fase finale di un torneo internazionale. Una partita, quella, che ha raccontato al mondo intero come il calcio possa trasformare il legame fraterno in una pagina di storia.
Il destino scritto nelle radici
Queste storie ci ricordano che il calcio non è solo tecnica e risultati. È identità, appartenenza, radici e scelte. È il riflesso di famiglie divise dall’anagrafe, dalla geografia, dalle opportunità. Eppure, dentro lo stesso sangue, scorre sempre la stessa passione: quella per un pallone che rotola, per un sogno che parla tante lingue quante sono le bandiere.
Ecco perché i fratelli Boateng, i Pogba, i Williams o gli stessi Reijnders diventano molto più che semplici giocatori: sono simboli di una generazione in cui il calcio si intreccia con la globalizzazione, le migrazioni, le storie d’amore tra culture diverse. Ogni scelta di bandiera racconta un capitolo di vita: l’orgoglio di onorare le radici di un genitore, la volontà di rappresentare la terra che ti ha cresciuto, oppure la speranza di portare un Paese meno blasonato sul palcoscenico mondiale.
In questo senso, il calcio diventa una sorta di specchio universale: non importa quale maglia venga indossata, perché la vera eredità resta il gesto di scendere in campo, guardare il fratello dall’altra parte e sapere che, comunque vada, entrambi stanno scrivendo la stessa leggenda familiare con inchiostri diversi.
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