In esclusiva a lanotiziasportiva.com, il direttore de Il Giornale e grande tifoso juventino, Alessandro Sallusti, racconta la sua visione sulla nuova Juve di Tudor, su Antonio Conte, sulla mancanza di bandiere nel calcio moderno e sul futuro della Nazionale, con riflessioni sincere e ironiche che faranno discutere gli appassionati.
La cornice è quella elegante e suggestiva del Caffè della Versiliana, luogo storico di incontri culturali e dibattiti che ogni estate anima Marina di Pietrasanta. Qui, sabato 16 agosto, Alessandro Sallusti ha dialogato con Paolo Del Debbio davanti a un pubblico numeroso, composto non solo da affezionati lettori e curiosi, ma anche da volti della politica e del giornalismo. L’occasione era la presentazione del nuovo libro del conduttore televisivo, “Siamo tutti filosofi senza saperlo. Sei storie di vita (Piemme)“, un evento che ha trasformato la piazza in un vivace salotto a cielo aperto.
Tra riflessioni filosofiche e aneddoti personali, il direttore de Il Giornale si è concesso ai presenti con il suo consueto stile diretto e senza filtri, ma la nostra redazione, nella figura del noto giornalista Daniele Bartocci, ha avuto il privilegio di raccogliere anche alcune dichiarazioni in esclusiva sul suo grande amore calcistico, la Juventus, passione che Sallusti non ha mai nascosto.
A microfoni aperti, Sallusti ha parlato di calcio con la stessa passione con cui affronta la politica. La prima domanda non poteva che riguardare la nuova Juventus di Igor Tudor, tra nuovi acquisti e ambizioni tricolori:
“Io mi astengo per scaramanzia – spiega – perché sono troppi anni che a inizio stagione facciamo previsioni che poi non si avverano. Da buon juventino incrocio le dita, speriamo vada bene, ma non ne sono così certo”.
Poi il discorso scivola su Antonio Conte, grande ex bianconero ora di nuovo protagonista in panchina. Traditore o professionista?
“Traditore? No, direi proprio di no. I professionisti seguono i soldi, è normale. Dove ci sono i soldi, ci sono i professionisti. Conte non fa eccezione”.
E sul futuro di Roberto Mancini, concittadino del nostro collaboratore Daniele Bartocci, il direttore sorride prima di rispondere:
“Lo stimo molto come tecnico e come uomo, e quindi sì, mi piacerebbe rivederlo in Serie A o in Nazionale”.
Tema caldo è anche quello delle bandiere mancate del calcio italiano, con esempi come Del Piero e Totti che non hanno trovato spazio come dirigenti:
“Mi spiace che manchino bandiere sia in campo che fuori, perché ormai tutte le squadre se ne sono liberate. Però attenzione: un grande giocatore non è detto che diventi automaticamente un buon dirigente. Sono due mestieri diversi”.
Non poteva mancare un accenno alla Nazionale italiana e alle difficoltà di valorizzare i giovani:
“Sai, se abbiamo vinto il Mondiale nel 2006, quando quella squadra non avrebbe dovuto vincere neanche un’amichevole, allora tutto è possibile. Più che i giocatori, dobbiamo affidarci allo stellone che ogni tanto ci assiste”.
Infine, un sorriso quando gli chiediamo se all’Italia manchi un bomber alla “Sallusti”:
“No no, nessun bomber così” – replica con ironia, congedandosi tra gli applausi.
Un’intervista, quella realizzata da Bartocci, che mostra ancora una volta come Alessandro Sallusti, al di là del giornalismo e della politica, conservi una passione autentica e genuina per il calcio, fatta di scaramanzia, rispetto per i professionisti e consapevolezza delle trasformazioni culturali che hanno cambiato per sempre questo sport. Le sue parole restituiscono il ritratto di un tifoso vero, capace di alternare ironia e lucidità, senza mai abbandonare il legame emotivo con i colori bianconeri.
Un amore che attraversa generazioni, fatto di ammirazione per Del Piero, di ricordi mondiali e di quella speranza che il “fattore stellone” possa ancora illuminare il destino della Nazionale. Più che un’intervista, un viaggio dentro la memoria e le emozioni di chi il calcio non lo vive soltanto come cronaca sportiva, ma come specchio della società e delle sue evoluzioni.
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