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Perché la permanenza di Origi al Milan è un problema per Allegri, il club e i tifosi

Quando un contratto diventa una trappola: il caso Origi al Milan mostra quanto possa essere difficile liberarsi da un giocatore fuori progetto. Un danno sportivo, economico e persino emotivo per club e tifosi.

All’inizio dell’estate Divock Origi si era presentato a Casa Milan con l’idea, almeno apparente, di chiudere con eleganza la propria esperienza in rossonero. Un addio consensuale, una stretta di mano, una cifra di buonuscita che avrebbe liberato il club da un ingaggio ormai fuori progetto e restituito al calciatore la libertà di cercare una nuova avventura. Invece, nulla di tutto ciò si è verificato. E il Milan si ritrova ora con un giocatore sotto contratto fino al 30 giugno 2026, senza impiego e senza reali prospettive, che però ha diritto a rimanere a libro paga.

Come spiegato da Tuttosport, la trattativa si è arenata per la resistenza del belga a trovare un accordo economico ritenuto “bonario” dalla società. Origi, dal canto suo, ha scelto di restare agganciato al Milan, beneficiando di un contratto regolarmente firmato e depositato, e al tempo stesso rispettando le condizioni fiscali italiane che richiedono la permanenza sul territorio nazionale. Nessuna violazione, certo. Ma una situazione che fa storcere il naso a dirigenza, tifosi e addetti ai lavori.

I numeri (deludenti) di Origi al Milan

Dal punto di vista sportivo, l’esperienza milanista dell’ex Liverpool si è conclusa già da tempo. L’ultima presenza ufficiale risale al 28 maggio 2023. In totale, Origi ha collezionato 36 presenze tra Serie A, Champions League e Supercoppa Italiana, per un totale di 1.187 minuti giocati e appena 2 gol segnati. Numeri troppo poveri per giustificare un contratto da 4 milioni di euro netti annui. Eppure, al momento, il Milan non può far altro che prenderne atto.

Quando un contratto diventa una prigione

Secondo le normative FIFA e le regole del rapporto di lavoro sportivo, un contratto a tempo determinato non può essere sciolto unilateralmente se non in presenza di una clausola rescissoria o di una giusta causa. E non è questo il caso. Origi è in una posizione di assoluta legittimità: ha firmato un contratto regolare, e la società ha l’obbligo di rispettarlo.

Certo, esiste la possibilità della risoluzione consensuale, ma senza un accordo tra le parti, il vincolo rimane in piedi. Il giocatore può tranquillamente decidere di restare, allenarsi con il gruppo o a parte, e percepire il proprio stipendio. Il Milan può solo aspettare.

Recesso senza giusta causa: cosa prevede l’articolo 17 del regolamento FIFA

Quando un calciatore decide di recedere unilateralmente dal contratto senza una giusta causa sportiva, prima della scadenza naturale, entra in gioco l’articolo 17 del Regolamento FIFA. Questo prevede che il giocatore sia tenuto a versare un’indennità al club di appartenenza, responsabilità che viene condivisa con il nuovo club che lo tessererà: entrambi sono responsabili in solido del risarcimento.

Se nel contratto è presente una clausola di rescissione, l’indennità è già stabilita e pagandola il giocatore può liberarsi senza ulteriori trattative. In assenza di clausola, invece, l’indennità verrà determinata da un giudice, tenendo conto di vari fattori: valore residuo del contratto, stipendio, valore di mercato, e investimenti fatti dal club.

Infine, se il giocatore non accetta la risoluzione proposta dalla società e non esiste una giusta causa, il contratto resta valido fino a scadenza, ma eventuali rescissioni imposte dal club possono comunque dar luogo a richieste di risarcimento, anche legali, a favore del tesserato.

Le scocciature per il club e per i tifosi

Una situazione del genere non crea solo un danno economico: genera malumore, tensione e frustrazione. I tifosi si domandano che senso abbia tenere in rosa un giocatore che non rientra nel progetto. La dirigenza si trova a gestire una presenza ingombrante che ostacola anche eventuali manovre di mercato. E l’allenatore, Massimiliano Allegri, ha un tesserato inutilizzabile, che però occupa uno slot contrattuale.

Non è solo una questione di bilancio, ma anche di clima. Di spogliatoio. Di immagine. Perché ogni allenamento in cui Origi non si presenta diventa una piccola ferita aperta sul piano gestionale. Ogni giorno passato anche lontano da Milanello senza un futuro è un promemoria costante del fallimento dell’operazione.

L’assurdità della situazione spicca ancora di più oggi, con il Milan orfano delle competizioni europee. In una stagione priva di quell’iniezione economica vitale, ritrovarsi a pagare un fuori rosa da 4 milioni netti a stagione (5,2 lordi, mitigati in parte solo dal Decreto Crescita) è qualcosa che grida vendetta. Una sorta di bestemmia calcistica, un insulto all’autosostenibilità e al buon senso. Origi non è semplicemente un giocatore ai margini: è un epurato vero. A livello europeo, un caso forse unico e il più ecclatante.

Perché i calciatori resistono?

La risposta è semplice: perché il contratto è dalla loro parte. Un calciatore che sa di non trovare offerte equivalenti altrove, preferisce spesso restare dove si trova, anche senza giocare, piuttosto che accettare una riduzione drastica dell’ingaggio. A ciò si aggiungono spesso motivazioni personali, fiscali o logistiche.

Nel caso di Origi, per esempio, si parla esplicitamente della necessità di rimanere per lungo tempo in Italia per questioni legate alla residenza fiscale. Ciò rende ancora meno probabile una partenza immediata.

Una lezione per il futuro

Il caso Origi deve essere una lezione per tutti i club. Quando si firma un contratto, bisogna farlo con la massima prudenza, valutando sia il valore sportivo che l’affidabilità professionale del calciatore. Il rischio di trovarsi con un giocatore fantasma, pagato per non giocare, è sempre dietro l’angolo.

Per il Milan, ora, resta solo la strada della pazienza. L’ultima stagione di contratto verrà vissuta ai margini, tra allenamenti a parte e nessuna convocazione. Ma per i tifosi è un boccone amaro da digerire. Vedere un giocatore non dare nulla alla causa, ma continuare a percepire milioni, è un colpo alla passione e alla fiducia.

Un caso che mostra chiaramente come, nel calcio moderno, il potere contrattuale dei giocatori possa diventare un freno alla programmazione sportiva. Un danno difficile da quantificare, ma impossibile da ignorare.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.