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Suzuka, l’ultima curva del destino: i Mondiali di Formula 1 decisi tra pioggia, duelli e miracoli

Tra fine anni ’80 e inizio 2000, il circuito di Suzuka è stato teatro di epiche battaglie per il titolo mondiale di Formula 1: da Senna-Prost a Hakkinen-Schumacher, da sorpassi impossibili a tradimenti. Le imprese che hanno scolpito la leggenda del Giappone come cattedrale della velocità e dell’imprevedibile.

C’era un tempo, non troppo lontano, in cui la Formula 1 trovava la sua apoteosi non in Medio Oriente o nel lusso di Monte Carlo, ma tra le pieghe di un circuito incastonato in una delle terre più sacre per i motori: Suzuka, Giappone. Disegnato come un otto perfetto, un nastro d’asfalto che taglia il silenzio zen della campagna nipponica, Suzuka era l’ultimo dojo dove si affrontavano i samurai della velocità. Un luogo che ha deciso titoli, distrutto sogni e creato leggende.

1989: PROST-SENNA, LA VENDETTA NELLA CHICANE

Suzuka 1989 è più di un semplice Gran Premio: è uno scontro tra religioni, tra visioni del mondo, tra due modi opposti di interpretare la velocità. Da una parte Alain Prost, il calcolatore, il professore, il re dell’efficienza francese. Dall’altra Ayrton Senna, il mistico del volante, l’uomo che guidava parlando a Dio a ogni staccata. Il Mondiale è nelle mani di Prost, ma Senna può ancora riaprire i giochi. La tensione è alle stelle. Sono entrambi su McLaren-Honda, ma la rivalità ha ormai superato i confini del box. Ron Dennis li tiene a malapena separati con le parole, ma in pista non c’è più pace.

La gara scorre con Senna alle spalle del rivale, fino al giro 47. Alla staccata della chicane Casio, Ayrton tenta l’impossibile: un sorpasso all’interno, deciso, chirurgico, brutale. Prost chiude la porta con premeditazione glaciale. Il contatto è inevitabile. Entrambi fuori pista. Ma Senna non si arrende: grazie all’aiuto dei commissari, riesce a ripartire. Passa Nannini, taglia il traguardo per primo, ma la festa dura poco. La FIA, presieduta all’epoca dal controverso Jean-Marie Balestre, squalifica Senna per essere rientrato in pista tagliando la chicane. La giustificazione ufficiale è “taglio del tracciato e manovra pericolosa”. Ma per molti, è solo una vendetta politica travestita da regolamento.

Prost è campione del mondo. Il suo ultimo con la McLaren. Ma lo scandalo scuote le fondamenta della F1. Senna esplode davanti ai microfoni, parlando apertamente di complotto. L’opinione pubblica si divide: chi lo vede come un martire, chi come un folle incosciente. Nel frattempo, Alessandro Nannini festeggia in silenzio la sua prima – e unica – vittoria in Formula 1. Ma anche il trionfo dell’italiano viene oscurato da quello che viene definito “il tradimento di Suzuka”. La Formula 1 non sarebbe mai più stata la stessa.

1990: LA RESA DEI CONTI, STAVOLTA AL VIA 

Suzuka, ottobre 1990. Un anno dopo il dramma, stessa pista, stessi protagonisti, ma i ruoli si sono invertiti come in una tragedia greca. Ora è Alain Prost su Ferrari a inseguire il sogno, mentre Ayrton Senna è al comando della classifica iridata con la sua McLaren-Honda. Ma c’è qualcosa che bolle sotto la tuta del brasiliano. Una rabbia non sopita. Una ferita ancora aperta dal 1989. Tutto inizia il giorno prima, nelle pieghe del sabato: Senna conquista la pole position, ma scopre che la sua macchina verrà posizionata sul lato sporco della pista, quello meno gommato e più polveroso. Prost, secondo in griglia, partirà invece dal lato più pulito. Ayrton protesta. Chiede alla FIA – presieduta ancora da Jean-Marie Balestre – che la pole venga spostata a destra. La risposta è un secco no. E allora qualcosa dentro di lui si spezza.

Domenica, la tensione è insostenibile. È il giorno del giudizio.

Al semaforo verde, Prost parte meglio. Ha un vantaggio di qualche metro. Ma Ayrton non cede. Non alza il piede. Alla prima curva, i due si ritrovano affiancati, lanciatissimi. È il contatto. Devastante. Spietato. Voluto. Le due auto si agganciano, finiscono nella via di fuga. Entrambi fuori. La corsa finisce lì. Ma il titolo va a Senna, grazie al vantaggio in classifica. Non è solo una collisione. È una dichiarazione di guerra personale. È Ayrton che risponde a un anno di silenzi, a quella squalifica del ’89 che ancora lo bruciava come un’ingiustizia incisa nella carne.

Nei giorni seguenti, Senna non finge. Non si nasconde. Anzi, ammette tutto. In una clamorosa intervista, dice di averlo fatto di proposito. Di non aver più accettato di “subire” decisioni ingiuste. Parla di poteri oscuri, di regole violate, di rispetto mancato. Lo dice col fuoco negli occhi e la voce rotta dalla tensione.

“Se non avessi fatto quello che ho fatto, non sarei più riuscito a guardarmi allo specchio.”
Ayrton Senna, ottobre 1990

L’opinione pubblica è scossa. Alcuni lo elevano a guerriero della giustizia, altri lo accusano di comportamento antisportivo estremo. Ma una cosa è certa: Suzuka 1990 è il Gran Premio che ha cambiato per sempre la percezione di Ayrton Senna, trasformandolo in un mito controverso e immortale.

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1998: LA PIOGGIA BENEDICE HAKKINEN

La stagione 1998 è un duello mozzafiato tra Michael Schumacher e Mika Hakkinen, due uomini agli antipodi: l’uno, il guerriero tedesco dal sangue bollente; l’altro, il finlandese silenzioso dal cuore di ghiaccio. Si arriva a Suzuka per l’ultimo round con Schumi a -4 in classifica: serve una vittoria e un passo falso dell’altro per diventare campione.

Ma Suzuka non ha pietà.

Durante il warm-up, inizia a piovere, e la tensione si taglia con il coltello. La pole è di Schumacher, ma al momento della partenza accade l’incredibile: la Ferrari resta ferma sullo schieramento. La frizione lo tradisce. Il tedesco è costretto a partire dall’ultima fila. Una montagna da scalare sotto l’acqua. Con rabbia e classe, Schumi rimonta giro dopo giro, fino a raggiungere il terzo posto. Ma al giro 31, mentre tutto sembra riaprirsi, una piccola pietra – sì, una maledetta pietra sul tracciato – si infila tra il cerchione e il pneumatico anteriore destro. Foratura. Ritiro. Addio sogni di gloria.

Mika Hakkinen, impeccabile al volante della McLaren MP4/13, vince e si prende il Mondiale. Il suo primo titolo, il primo vero squillo di un’era che sembrava poter diventare “argento”. L’abbraccio tra lui e Ron Dennis sotto la pioggia è la fotografia di una stagione perfetta… per la McLaren. Per la Ferrari, invece, è l’ennesimo incubo giapponese, un destino crudele ripetuto a copione.

1999: HAKKINEN FA IL BIS, MA IL DUBBIO RESTA ROSSO

Il finlandese fa il bis iridato, ma Suzuka stavolta è avvolta da una nube di sospetto e tensione rossa. Il titolo poteva finire nelle mani di Eddie Irvine, compagno di squadra di Michael Schumacher, rientrato da poco dopo l’incidente di Silverstone. Eppure, proprio alla partenza, Schumi – in pole – non parte al meglio e finisce col complicare la gara di Irvine, costretto a rincorrere. In Italia si grida al “sabotaggio interno”: molti si chiedono se davvero Schumacher abbia fatto abbastanza per aiutare il compagno, o se, nel profondo, non volesse veder trionfare qualcun altro al volante della sua Ferrari. Una ferita mai del tutto rimarginata nei cuori di Maranello, nonostante le smentite ufficiali. Suzuka, ancora una volta, lascia spazio al mito e al dubbio.

2000: L’APOTEOSI ROSSA

L’8 ottobre 2000, Suzuka smette di essere solo un circuito. Diventa un altare. Un santuario. Una macchina del tempo pronta a riportare a casa un sogno che si era perso nel 1979, con il titolo di Jody Scheckter. Da allora, ventuno anni di rimpianti, sconfitte brucianti, ingegneri cambiati, piloti ingoiati dalla pressione, ed eroi incompiuti. Fino a lui: Michael Schumacher, il più grande.

La sfida è ancora una volta con Mika Hakkinen, già due volte campione. Il finlandese parte forte, prende il comando alla prima curva. La McLaren sembra danzare tra le pieghe del tracciato, ma Schumacher non molla un centimetro. La gara è una sinfonia di velocità pura e strategia chirurgica, orchestrata da Ross Brawn al muretto. Al giro 37, la svolta: la Ferrari chiama Schumi ai box per l’ultimo pit-stop. La sosta è perfetta. Tre giri dopo, tocca ad Hakkinen. Ma quando rientra in pista, è dietro. Di poco. Di pochissimo. Ma abbastanza. Schumacher prende il largo, vola verso il traguardo.

Gli ultimi giri sono una cavalcata trionfale, ma nessuno osa festeggiare prima del tempo. Troppo a lungo la Ferrari ha assaggiato il sapore dell’amarezza. Fino all’ultimo metro c’è tensione. Ma poi… la bandiera a scacchi. Michael Schumacher è campione del mondo con la Ferrari. Dopo 21 anni. Dopo la maledizione, dopo Villeneuve-Pironi, Alboreto e Prost. Dopo tutto.

Le immagini scorrono come in un film: Jean Todt che si lascia andare in lacrime, Ross Brawn che non riesce a parlare al team radio, il grido di Schumacher che rompe la radio con un “Yes! Yes! Yes!” strozzato dall’emozione. E poi, quell’abbraccio con Todt, come tra padre e figlio, tra generale e condottiero.

“Questo titolo è per la Ferrari, per l’Italia, per Enzo. Ci siamo riusciti.”
Michael Schumacher, Suzuka 2000

Suzuka si inchina. Il mondo si inchina. La Ferrari è di nuovo sul tetto del mondo.

SUZUKA, JAPAN – OCTOBER 10: Motorsport / Formel 1: GP von Japan 2004, Suzuka; Michael SCHUMACHER / GER / Ferrai -Gewinner- 10.10.04. (Photo by Martin Rose/Bongarts/Getty Images)

DOVE SI DIVENTA IMMORTALI: I TITOLI MONDIALI ASSEGNATI A SUZUKA

Tra il profumo dei ciliegi e il boato dei motori, Suzuka ha spesso avuto l’onore – o il peso – di decidere il destino del mondo. Non è un’esagerazione: ben 13 titoli iridati sono stati assegnati qui, rendendo il circuito nipponico la seconda “corona mondiale” più frequente nella storia della Formula 1, dopo Monza.

Ecco chi ha toccato il cielo proprio su quell’asfalto:

  • 1989 – Alain Prost (McLaren-Honda)
    Squalifica di Senna dopo l’incidente: il Professore si laurea Campione tra le polemiche.

  • 1990 – Ayrton Senna (McLaren-Honda)
    La sua vendetta alla prima curva: collisione volontaria con Prost e secondo titolo conquistato.

  • 1991 – Ayrton Senna (McLaren-Honda)
    Ancora Suzuka, ancora gloria. Concede la vittoria a Berger e si prende il suo terzo e ultimo Mondiale.

  • 1996 – Damon Hill (Williams-Renault)
    Figlio d’arte e signore della pioggia, si prende tutto dopo una stagione perfetta.

  • 1998 – Mika Hakkinen (McLaren-Mercedes)
    Titolo meritatissimo, favorito anche dall’errore della Ferrari al via.

  • 1999 – Mika Hakkinen (McLaren-Mercedes)
    Bissa il titolo e consacra Suzuka come suo secondo giardino segreto.

  • 2000 – Michael Schumacher (Ferrari)
    La vittoria più attesa, quella che rompe un digiuno lungo 21 anni. La Ferrari torna regina.

  • 2003 – Michael Schumacher (Ferrari)
    Dopo una stagione combattutissima, Suzuka incorona per la sesta volta il Kaiser.

  • 2011 – Sebastian Vettel (Red Bull-Renault)
    Il predestinato di Heppenheim chiude i giochi con quattro gare d’anticipo.

  • 2022 – Max Verstappen (Red Bull-Honda)
    Titolo assegnato tra la pioggia e la confusione regolamentare, ma meritatissimo.

(NB: tra il 2007 e il 2008 il GP del Giappone si corse a Fuji, quindi in quegli anni Suzuka non fu teatro di titoli)

UN TEMPIO DELLA F1 SCOLPITO NEL TEMPO

Suzuka non è solo un circuito. È un teatro, un ring, un tempio. Le sue curve – la Esses, la Spoon, la 130R – sono vocaboli di una lingua che solo i grandi sanno parlare. In Giappone si dice che ogni battaglia va combattuta con onore. In Formula 1, Suzuka è stata il luogo dove si sono scritti gli haiku più veloci della storia dell’uomo.

Ora che il GP del Giappone si corre in primavera, resta solo il ricordo di quando ottobre diventava leggenda. Ma ogni volta che i motori si accendono lì, nel cuore del Sol Levante, si sente ancora l’eco di una curva, quella finale, che poteva valere un Mondiale… o cambiarne per sempre la storia.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.