Pierluigi Spagnolo, 41 anni, barese, giornalista de “La Gazzetta dello Sport”, è uscito in libreria a maggio 2017 con il libro “I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano” (Odoya edizioni), riscuotendo da subito successo. Dall’uscita ad oggi, a più di un anno e mezzo di distanza, il libro continua ad essere uno dei titoli di “sport” più venduti sia in libreria sia sugli store online, e “I ribelli degli stadi” ha conquistato un pubblico vastissimo, non fermandosi solo a chi lo stadio lo frequenta tutte le domeniche.
Abbiamo scambiato due chiacchiere con Pierluigi, parlando del suo libro e della situazione attuale delle curve italiane. Buona lettura.
-Come nasce l’idea del libro “I ribelli degli stadi”?
“Il libro nasce da una passione e da uno sfogo. Dalla passione per il mondo del tifo, per l’aggregazione che da mezzo secolo c’è nelle curve italiane attorno alle squadre di calcio, un fenomeno che mi appassiona persino più del gioco in sé. E poi da uno sfogo: quello degli ultras è un mondo complesso, pieno di contraddizioni e di errori, ma finora criminalizzato a priori, raccontato molto spesso con un atteggiamento ostile e pieno di pregiudizi”.
-É un argomento giá trattato diverse volte in passato, alcune volte in maniera magistrale, penso ai lavori di Valerio Marchi, altre volte con superficialitá e inesattezze. Il tuo é un ottimo lavoro, tanto che molte persone che non hanno mai frequentato una curva hanno comunque considerato bello e ben fatto il tuo libro. Quali linee guida ti eri dato all’inizio della tua ricerca?
“L’ho pensato e ci ho lavorato nel 2016, affinché fosse pronto entro la metà del 2017. Volevo che fosse a disposizione dei lettori alla vigilia del 2018, quando il mondo ultras italiano avrebbe festeggiato i 50 anni di vita, visto che universalmente si tende a considerare la Fossa dei Leoni del Milan come il primo gruppo ultras italiano, fondato proprio nel 1968, almeno nell’accezione che oggi diamo a questo termine. Volevo che fosse un libro di storia del movimento, che raccontasse il fenomeno, che lo spiegasse a chi è un frequentatore assiduo delle curve e a chi non ha mai vissuto una partita in mezzo agli ultras. Dentro c’è tutto: i lutti, le pagine da cancellare, ma anche il resto, il boom degli anni 80-90, le dinamiche, la “mentalità”, i gemellaggi, le leggi speciali, l’avvento della pay tv e l’inizio del declino”.
-Quanto tempo hai impiegato per realizzare il libro?
“Un anno, forse poco meno”.
-Non avevi paura che, essendo tu giornalista e quindi categoria invisa agli ultras, il tuo lavoro venisse snobbato o ostacolato?
“Avevo paura che potesse succedere, e temevo anche che qualcuno la vedesse come una “speculazione”. Non è successo. Migliaia di lettori hanno percepito e colto la mia intenzione: nel libro provo a mettere il rigore storico, l’obiettività che non deve mancare in un lavoro giornalistico, unita alla passione per un mondo che frequento da quanto avevo 13-14 anni. E in curva ci vado anche adesso che ne ho 41. Un mondo che aveva la necessità di essere raccontato in maniera finalmente diversa, lontana dagli stereotipi”.
-Tralasciando per un attimo il tuo libro, cosa ne pensi della situazione attuale delle curve italiane?
“Sono cambiate, ma era inevitabile, visto com’è cambiato in peggio il calcio italiano. La fase d’oro degli anni 80-90 é lontana, così come la spontaneità delle origini. Poi la sovraesposizione televisiva del calcio e due decenni di leggi speciali dello Stato contro i tifosi hanno contributo a ridimensionare il mondo ultras italiano. Il periodo peggiore è stato subito dopo l’introduzione della Tessera del Tifoso, dal 2009 in poi, con gli stadi sempre più vuoti. Nelle ultime 2-3 stagioni c’è un piccolo segnale di ripresa. Nonostante tutto, le curve restano il luogo di aggregazione preferito dagli italiani, uomini e donne, tra i 14 e i 50 anni. La più longeva sottocultura italiana, con i suoi linguaggi, le sue regole, i suoi codici”.
-Prezzi dei biglietti esorbitanti, pay tv, orari impossibili. Come si può spiegare a chi non frequenta le curve che i veri problemi del calcio sono questi e non i ragazzi dei “gradoni popolari”?
“Il calcio, come fenomeno davvero popolare, è stato “ammazzato” dalle pay tv, dagli orari delle partite decise senza tenere in minima considerazione le esigenze dei tifosi, da leggi liberticide che per fermare i violenti hanno finito per allontanare e spegnere la passione di tutti. Viene spesso raccontato che le famiglie si sono allontanate dagli stadi perché spaventate dalla violenza degli ultras, dal clima cupo degli stadi, dal linguaggio becero. Forse non ricordano il clima degli anni 70-80-90, ben più violento, ma con stadi sempre stracolmi, in Serie A come in C. Le famiglie e i ragazzini oggi fuggono dagli stadi con i biglietti di curva a 50 euro, disertano per le partite di martedì alle 18, non per i cori sul Vesuvio o sulla nebbia”.
-Tema codice etico: se ne parla poco ma é un problema non secondario per tutti i tifosi e i frequentatori di stadi. Cosa ne pensi?
“Alcuni “codici di comportamento” mi paiono una mostruosità giuridica, al limite dell’incostituzionalità. Vietare l’accesso allo stadio ad un tifoso, solo per aver espresso critiche forti sui social network, com’è previsto dal Codice etico di alcuni club di A e B, è una misura poco consona per un Paese liberale e democratico. Così come è illiberale denunciare chi introduce una bandiera con il volto di Federico Aldrovandi. Ma sta succedendo, sempre più spesso…”.
-Durante la tua ricerca hai scoperto cose che non sapevi e che ti hanno colpito?
“Non sapevo che i primi ultras della Lazio avessero iniziato a tifare dalla curva Sud, per esempio, alternandosi nelle partite in casa nella stessa “casa” dei romanisti, per poi scegliere di trasferirsi nella Nord solo a partire dal 1979, dopo la morte di Paparelli in quel tragico derby”.
-Hai girato tutta l’Italia per presentare il libro, e dopo un anno e mezzo dall’uscita se ne continua a parlare de “I ribelli degli stadi”. Ti aspettavi un successo simile?
“Quasi 40 presentazioni, da Nord a Sud. Ero fiducioso, ma non pensavo che potesse andare così bene. Tra le frasi più belle, ricordo quella di un ragazzino di Ascoli, di 16 anni. Mi disse: “Per comprare il tuo libro sono andato per la prima volta in una libreria. Non ero mai entrato per chiedere un libro che mi piacesse davvero, solo per i testi di scuola. È il primo libro che ho letto per puro piacere”.
-Ultima domanda: perché oggi, nel 2018 quasi 2019, un ragazzo dovrebbe avere ancora la voglia di prendere posto sui gradoni di un qualsiasi stadio italiano?
“Perché non c’è un posto del mondo in cui un uomo è più felice che in uno stadio di calcio”, diceva Albert Camus. Io aggiungerei, nonostante tutto, “soprattutto se si tratta di una curva”.
I ribelli degli stadi. Una storia del movimento ultras italiano.
Di Pierluigi Spagnolo, con prefazione di Enrico Brizzi.
Odoya edizioni, 2017.
Acquistabile in tutte le librerie italiane e su tutti gli store online.
279 pagine, 16 euro
Di Davide Ravan