Repubblica Federale Vs Repubblica Democratica

Repubblica Federale Vs Repubblica Democratica – Cronaca di una sfida paradossale

Lo stadio di Amburgo è al completo. 60,000 spettatori attendono il fischio d’inizio dell’unico incontro mai disputato fra le nazionali maggiori di Repubblica Federale e Repubblica Democratica. Anche loro, anche quelle 60,000 persone saranno anche loro parte della storia dello sport, saranno protagonisti come i calciatori della partita che nessuno vinse, nessuno perse e nessuno pareggiò.

La cornice

I mondiali del 1974, saranno ricordati come il manifesto del calcio totale olandese: un esperimento che ha portato pochi successi sul campo ma che è riuscito a stravolgere il gioco. Sarà cosi dappertutto tranne che al di là della Cortina, vale a dire, nell’altra metà del mondo.

Di quei 60,000 testimoni che aspettano di capire chi avrà la meglio fra il calcio professionistico di stampo capitalista e quello dilettantistico e socialista, 8,000 sono passati per i check-point di Berlino-Est.

Le autorità della DDR hanno concesso un numero elevatissimo di visti turistici validi giusto il tempo della partita. Spettacolo e terrore in un colpo solo: forse, la più antica ricetta per stabilizzare gli umori (e i malumori) delle persone.

Durante gli inni nazionali, le telecamere, impietose, rimarcano la distanza culturale che corre fra uomini della stessa origine divisi da pochi chilometri di cemento armato. I capelli lunghi del trend punk che si va ad affermare anche fra i calciatori occidentali lasciano lo spazio a chiome più composte, ordinate, ma appena dentro ai limiti di tolleranza della Stasi.

La Germania Occidentale, nella canonica divisa bianca, intona il ‘Das Lied der Deutschen’, quello che ancora oggi conosciamo come l’inno tedesco. I ragazzi della Repubblica Democratica, stretti in una maglia blu su cui campeggia l’emblema dell’unione fra lavoratori agricoli, operai e intellettuali, eseguono senza particolare enfasi ‘Auferstanden aus Ruinen’: una poesia di Johannes Becher, dissidente socialista sfuggito al nazionalsocialismo.

L’incontro fra Repubblica Federale e Repubblica Democratica potrà essere interpretato come un saggio classico di un’altra era calcistica: tensione e melina sono le protagoniste principali della partita. Scorrendo le immagini a distanza di anni, possiamo salvare solo i primi quindici minuti, il resto è solo una polpetta di noia, casualità, fortuna ed errori tanto grossolani da sfiorare il mistico.

I quindici minuti di calcio

Dopo il calcio d’inizio la Repubblica Federale prende subito le redini del gioco, con fermezza e qualità, quasi come se anticipasse la sua attuale filosofia. La palla viaggia bassa e rapida, segue le geometrie dettate dalla colonna vertebrale di quella magnifica squadra.

Beckenbauer imposta la manovra, passa spesso dai piedi più che raffinati di Overath. Hoeneß e Müller lasciano l’area avversaria, vengono a prendersi il pallone sulla trequarti, triangolano con il centrocampo, aprono sulle fasce.

Dall’altra parte, i giocatori della DDR, indistinti, con una qualità tecnica pessima e forse bloccati dal timore, si difendono disordinatamente: rincorrono la palla, si perdono marcature e posizioni, aprono voragini in cui le maglie bianche s’infilano al doppio della velocità.

Passano solo cinque minuti prima che il fraseggio occidentale dia i suoi frutti. Un’azione alla mano intorno all’area avversaria, una tocco geniale di Overath che libera Flohe. L’ala non si fa pregare, porta avanti la palla qualche metro e lascia andare un destro preciso e teso che passa una decina di centimetri dall’incrocio dei pali.

Dopo un paio di minuti, arriva anche la seconda occasione. Müller si appoggia al suo diretto marcatore e, da dentro l’area, calcia sull’esterno della rete. Sembra il preludio a un’imbarcata, ma è solo un’impressione e l’episodio che indirizzerà la partita deve attendere ancora poco.

La faccia della sfortuna

La Repubblica Federale macina gioco e si affida a perle individuali ben costruite dalla manovra collettiva. Sono passati poco più di dieci minuti quando tutti capiranno che la palla non finirà facilmente in porta quel giorno, quando la Repubblica Federale potrà dire di sapere come si manifesta la sfortuna.

Dopo un altro ballo sulla trequarti, è il solito Gerd Müller a verticalizzare il gioco con un dribling. Una magia in area che si trascina due marcatori sul fondo. L’attaccante scivola via come un ballerino di tango e mette la palla dietro come vuole la regola. Non è un passaggio scolastico, ma una rasoiata netta che taglia fuori portiere e difensori. Un pallone a cui serve giusto un spintarella per finire in rete.

Jürgen Grabowski, centrocampista di Francoforte che in carriera realizzerà 109 gol in 441 partite di Bundesliga (uno che la porta la vede bene) si butta su quell’invito. Taglia l’area in due senza che nessuno lo riesca a seguire. A trenta centimetri dalla riga allarga il piattone in tutta sicurezza per spedire in rete il passaggio che gli arriva da sinistra.

Forse la palla gli salta davanti, forse incespica sulle gambe. Colpisce con la caviglia, lo stinco o chissà quale altra insensibile parte della gamba. Il tiro molle rimbalza sugli avambracci del portiere Croy, steso ancora atterra dopo il cross di Müller. Il pallone rotola lenta verso il fondo strozzando l’esultanza di sessantamila sostenitori della Repubblica Federale.

Da quel punto in poi è una battaglia di nervi persa. Beckenbauer e compagni smettono letteralmente di giocare a pallone: ognuno prova a risolverla da solo mentre la Repubblica Democratica si chiude compatta nella sua meta campo. Non ci sono più tagli e sovrapposizioni a cui prestare attenzione, non c’è più quel gioco articolato e moderno che fa girare la testa ai calciatori piuttosto provinciali cresciuti dall’altra parte del muro.

Rimangono solo undici soggetti in maglia bianca e qualche campione stizzito che prende il pallone e tira dritto verso la porta avversaria. Allora non occorre più usare la testa, basta correre e picchiare e quello i tedeschi orientali lo sanno fare bene; ci sono cresciuti a corsa, ginnastica e pesi. Finisce, per di più, che la linea difensiva della Mannschaften si addormenta, troppo ben abituata dalle chiusure puntuali, eleganti ed efficaci del suo capitano.

Al trentacinquesimo, da una rimessa laterale –  che non può essere pericolosa in nessun caso tranne  che in quello – la palla spunta miracolosamente a centro area. Hans-Jürgen Kreische, attaccante della Dinamo Dresden, si ritrova con il pallone fra i piedi a una decina di metri dalla porta sguarnita.

Incredibilmente, butta il corpo all’indietro, allunga la punta del piede e calcia sopra la traversa. A gol mangiati siamo pari, le differenze però ci sono. Quando il bomber mancato si gira trova i compagni a tendergli la mano, lo rinfrancano, si incoraggiano. La Repubblica Democratica ha appena scoperto che anche lo possono far male alla Germania di quelli bravi.

La replica non si fa attendere più di tanto, ma sarà l’ultimo sussulto della Repubblica Federale per il resto dell’incontro. L’alternativa alle galoppate palla al piede sono i lanci lunghi a pescare Hoeneß che di testa appoggia per il compagno di reparto o per i centrocampisti che si buttano dritti nei buchi della maglia difensiva in blu. Nulla di raffinato, ma tanto basta per creare apprensioni e abbassare la Germania dell’Est sulla sua trequarti.

Al quarantesimo, Müller si libera ancora meravigliosamente e da dentro l’area coglie il palo. Il primo tempo scorre via fra la tensione e la sfortuna fino al fischio dell’arbitro; fattori che nella seconda frazione si alterneranno con la stanchezza e la regola ammazza calcio del retropassaggio al portiere.

La faccia della noia

Al rientro, il copione della partita cambia in peggio. La Repubblica Federale riprende a lanciare lungo su Hoeneß che, sempre più stanco, diventa inconsistente già dal sessantesimo. L’alternativa ancor meno intelligente sono una serie di palloni alti per Müller che viene inghiottito dalla retroguardia imponente della Repubblica Democratica.

Overath è l’unico che tenta di mettere ordine alla schizofrenica prova di agonismo cieco dei compagni, rimane il solo cercare qualche geometria, poche a dirla tutta. Botte, corsa e melina sono le parole chiave dello spettacolo in corso, una noiosa rappresentazione del passato. Di fatto, non succede nulla fino a dieci minuti dal termine.

La DDR prova ad amministrare tempo e pallone. Quello era un periodo più semplice per congelare il gioco: palla dal portiere verso il libero e dal libero verso il portiere; una, due, tre volte, fino a che gli avversari non rinunciano a pressare.

Tra i fischi e i mugugni, la squadra in maglia blu sta per portare a casa un inaspettato pareggio. Arriva addirittura a palleggiare fino alla sua metà campo. Poi, da quelle parti le cose si fanno più complicate e i lanci diretti verso le punte finiscono in fallo laterale o direttamente sul petto di Beckenbauer.

La faccia di Sparwasser

Al settantaquattresimo l’ennesimo pallone lento e innocuo sta per finire in mezzo all’area della Repubblica Federale. Destinazione: braccia del portiere. Non ci crede nessuno a quel lancio casuale. L’intera linea difensiva della Germania Occidentale si astiene dall’aggredire la palla, Maier rimane sulla linea ad aspettare. L’unico in tutto lo stadio con una visione poetica sul casualità è Jürgen Sparwasser.

La mezzala di Magdeburgo segue quella traiettoria che arriva dall’alto, segna una traccia obliqua che taglia l’area di rigore dal vertice sinistro fino a un paio di metri a destra del dischetto. I difensori lo osservano come spettatori non paganti.

La palla scende dai riflettori, colpisce sul volto Sparwasser, un tocco maldestro che si trasforma in un perfetto stop a seguire. La dinamica fa si che il ragazzo si liberi dalle pigre marcature, si ritrovi solo a pochi metri dal vertice sinistro dell’area piccola, incroci col destro e batta il portiere.

0 a 1 e tanto basta. Gli ultimi dieci minuti passano senza emozioni se li si guarda con gli occhi disinteressati dello spettatore contemporaneo. Al fischio finale, le fotografie sono tutte per Sparwasser: eroe del regime per una parte, presunto campione da indurre alla defezione per l’altra.

Repubblica Federale Vs Repubblica Democratica, l’assurdo dell’incontro

Repubblica Federale contro Repubblica Democratica finisce con i tedeschi orientali che esultano, ma è difficile credere che ci sia un vero vincitore. Retoricamente, si potrebbe affermare che ci furono solo sconfitti. Mantenendo una certa analiticità, quella partita non venne né vinta, né persa, né pareggiata.

Fu, più che altro, come osservare un pugile che si prende a pugni da solo fino al KO. Questo era anche l’umore di tanti tedeschi della Germania Est. Non gli 8,000 che stavano allo stadio certo, ma gli scontenti che non festeggiarono quella sera furono tanti, forse per avversione politica, forse per affetti privati.

L’idea è che quella sfida rimane una rappresentazione vivida di un caso paradossale: l’essere umano che batte se stesso e per questo non vince. La prova può arrivare solo con il tempo. Varrebbe la pena chiedere a un tedesco dei giorni nostri di riguardare l’incontro e di scegliere la squadra per cui fare il tifo. Varrebbe la pena osservare lo sguardo smarrito di fronte all’assurdità di quella storia.

A proposito di Antonio Alberti

Classe 1986, la mia attitudine odiosa e masochista mi ha portato verso scelte anti-economiche come quella di fare un dottorato in Teoria Politica. Camminando sul bordo della disoccupazione permanente, ho deciso di racimolare qualche spicciolo scrivendo per attività commerciali, prodotti cinematografici, sport e politica. Se ci credessi, mi definirei copywriter, content writer e storyteller.

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