Mauro Forghieri, l’immenso

Nella grigia mattina del 2 novembre, gli appassionati della Formula 1 e non solo vengono svegliati dalla triste notizia della scomparsa di una delle figure più importanti e significative del mondo delle corse 

Mauro Forghieri non era solo un ingegnere, ma un genio della tecnica, un maestro e un uomo dalle doti uniche quanto lungimiranti il cui nome è stato, è, e sarà per sempre legato alla leggenda del Cavallino Rampante in modo indelebile. 

Nel silenzio di una settimana senza motori. Come il Commendatore a cui è stato legato per tanti anni. È così che Mauro Forghieri saluta il mondo a cui ha donato il suo genio, la mattina del 2 novembre, al centro di una settimana in cui la sua amata Formula 1 è ferma, avvolta da polemiche e novità messe in silenzio, almeno fino alla prossima fermata in Brasile. 

In maniera inaspettata quanto violenta, i tifosi, i colleghi, gli appassionati, accolgono la notizia increduli. Increduli nel realizzare che un altro pezzo di storia, di ingegneria, non c’è più. Un altro pezzo di quella Formula 1 rischiosa ma così spettacolare, di quella Formula 1 così sperimentata e in continua evoluzione, di quella Formula 1 originale, unica, narratrice di avventure tramandate di voce in voce, di libro in libro, di foto in foto, di testimonianza in testimonianza. 

Di quella Formula 1 esplosa nel ventennio composto dagli anni ‘60 agli anni ‘80, che ha regalato monoposto indimenticabili fatte di soluzioni indimenticabili più o meno vincenti.  

Di quei giovani talenti, scovati e presi con la speranza che creassero… qualcosa di grande. Enzo Ferrari, nel lontano 1959, ci vide bene: chiamò Mauro che era ancora un ragazzo, appena laureato in ingegneria all’Università di Bologna e appena due anni più tardi, lo mise per capo del reparto tecnica della sua realtà. 

La mente brillante del giovane nemmeno trentenne, inizia a espandersi nella massima serie automobilistica e non solo, sbocciando con la conquista di grandi traguardi. Amava tanto il suo lavoro. E si sa, quando si ama tanto, per quel qualcosa si dà tanto. Tutto. Ogni piccola attenzione, ogni studio maniacale anche per il più minimo dettaglio, per fare in modo che l’apice, l’obiettivo, sia raggiunto con perfezione. 

La costanza, prima o poi, premia sempre. E Mauro il primo premio lo riceve nel ‘64, nell’anno di John Surtees e della Ferrari 158. E poi, arrivarono gli altri premi, grazie alla 312 T, la 312 T2 e T4, e la musica del loro propulsore a 12 cilindri “piatto”. Arrivarono Lauda, Regazzoni, Scheckter, Villeneuve. Arrivarono tre titoli mondiali piloti e quattro costruttori.

Arrivarono i motori turbocompressi, le 126 CK, C2, C3 e C4 e i due titoli nel tragico 1982 e nel 1983. Arrivarono queste e tante altre cose, sino alle dimissioni dalla Ferrari nell’ ‘84. Dopo Maranello per Mauro ci fu tanto altro. E tutto quell’altro che ha raccontato, insieme ai suoi inizi, alle glorie, alle gioie e ai dolori vissuti nel suo mestiere che lo ha abbracciato per una vita intera, non verrà mai dimenticato.

“Un mestiere che lo ha abbracciato per una vita intera”. Proprio così. Il suo temperamento, quando incontrava il suo lavoro, era “furia” pura. I miei occhi ne hanno avuto un piacevole assaggio nel 2016, in occasione dell’attesissimo appuntamento per i più nostalgici del Grand Prix Historique di Monte Carlo.  

Un assaggio di un’impresa che, di lì a poco, sarebbe diventata un film. Forghieri è lì in piedi, pensieroso, che cammina su e giù al fianco della 312B. Con Paolo Barilla, suo proprietario, investono amore, tempo, energie, per rimettere in pista quel gioiellino rosso a 46 anni da suo debutto in pista. L’impresa viene quasi sfiorata, bloccata da un problema all’alimentazione.

Il sincero dispiacere, l’amarezza nel volto di Mauro, mi hanno catturato. Un insegnamento che indirettamente mi ha dato, ovvero quello di non averne mai abbastanza, di non arrendersi mai. È anche questo che mancherà, a tutte quelle nuove generazioni che avrebbero desiderato di conoscerlo, e non ce l’hanno fatta. 

A tutti coloro che di lui hanno letto le imprese, appreso l’arte, che lo hanno stimato e ritenuto un Maestro. A tutti coloro che ne hanno riconosciuto o condiviso l’immensità nel suo essere così umano, e che, nonostante siano consapevoli che il tempo doni un inizio e una fine per tutti, non riusciranno mai a farsene una ragione. Perché quando in vita sei così “grande”, accettare un addio è ancora più difficile. E inspiegabile.

 

A proposito di Beatrice Frangione

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