Quel sorriso inabissato

Otto anni fa, in Canada, un sorridente quanto promettente pilota australiano tagliava per primo il traguardo, conquistando la sua prima vittoria in Formula 1. Guidava una Red Bull, e aveva come compagno di squadra un quattro volte campione del mondo. Otto anni dopo, un sorridente pilota australiano è ad un bivio: o dentro o fuori. O fai bene o fai male. Perché dopo due stagioni buie, che quasi prevalgono sulla magica Monza 2021, giustificare non basta più.

Come tanti tracciati iconici che hanno scritto pagine importanti nella più che settantenne storia della Formula 1, anche l’asfalto e i cordoli di Montréal, se potessero parlare, racconterebbero ogni gioia, ogni dolore, ogni prima volta aspettata da tutta una vita. Racconterebbero, tra le tante, quanto potesse essere impressionante, dal loro punto di vista, quell’ala anteriore miracolosamente attaccata a una 126 CK nel 1981; racconterebbero del rimbombo straziante delle urla di una madre, disperata per la perdita di un figlio, nel 1982; di quando la gara durò circa sei ore, nel 2011; della doppia chiamata del destino di Robert Kubica. O ancora, descriverebbero le lacrime di gioia e l’entusiasmo di chi, nel Paese della Foglia d’Acero, colse la prima – e a volte unica – vittoria in Formula 1.

Tra i piloti che hanno un legame speciale con l’Isola che si affaccia sul fiume San Lorenzo, c’è anche Daniel Ricciardo. Un australiano un po’ italiano, il più noto e amato sorriso del paddock da almeno undici anni, che nessuno, almeno fino al 2018, avrebbe mai messo in discussione. Che nessuno avrebbe considerato un talento sfumato, soffocato. Che nessuno, dopo quell’8 giugno del 2014, avrebbe anche solo minimamente preso in considerazione l’idea che Daniel non potesse diventare un campione del mondo. Le caratteristiche, c’erano tutte.

Quell’anno il mondiale si era già macchiato d’argento: la Mercedes arriva in Canada con sei vittorie e i suoi due pupilli, Lewis e Nico, che probabilmente avrebbero lottato per il titolo iridato fino a fine stagione.

In Red Bull, il campione del mondo in carica Sebastian Vettel, scruta il suo compagno di box: dietro quel sorriso mediterraneo cela velocità e talento. Un fresco talento che, dopo i podi in Spagna e a Monaco, in Canada è in un habitat perfetto per sbocciare completamente.

Eppure, nel sabato di qualifica, la monoposto “alata” numero 3 non brilla, è solo sesta. Eppure, il via della corsa pare rispettare quel solito copione in cui i protagonisti della storia, due amici-rivali, fuggono via dal resto del gruppo. Rosberg deve difendersi da Hamilton, fino a quando, incredibilmente, entrambe le Mercedes non vengono fuori dai giochi da problemi ai freni. Mentre l’inglese è costretto al ritiro, Nico continua ma lentamente. Ma quando il gatto non c’è, i topi…ballano. E a ballare sono “gli altri”, che finalmente intravedono la grande occasione. Perez, Hulkenberg e le loro due Force India tornano in gioco, così come le Red Bull e la Williams di Felipe Massa. Daniel ha la carica che gli scorre nelle vene, e nelle battute finali agguanta di forza la prima delle otto perle della sua carriera.

Una manovra all’esterno su Perez prima, il sorpasso a Rosberg poi, una corsa ultimata davanti ad una Safety Car per l’incidente tra il Checo e Massa…e Ricciardo vince, alla sua 50esima gara in carriera.

Un risultato storico nella storia: l’australiano diventa il 150esimo pilota in Formula 1 ad aggiudicarsi un Gran Premio. Ed era solo l’inizio.

Daniel in quella stagione avrebbe vinto ancora, suscitando squilibri dall’altro lato del box. Sarebbe stato l’unico, dei piloti in griglia, a salire sul gradino più alto laddove Mercedes non ce l’avrebbe fatta. Si sarebbe fatto riconoscere, si sarebbe distinto per quella “mossa” impeccabile, quell’attacco servito da una finta prima e da un sorpasso poi…il tutto condito da una staccata impressionante.

Un talento cristallino, una grinta positiva, divorati dall’attenzione di una squadra totalmente rivolta a un futuro campione del mondo. Max Verstappen. Il pupillo accudito, protetto, appoggiato e coccolato per arrivare a calpestare con le sue scarpette dorate la vetta della Formula 1. La frustrazione di Daniel raggiunge l’apice quattro stagioni dopo il suo arrivo alla casa austriaca. Il tuffo nella piscina di Monte Carlo non basta a calmare i nervi per un ennesimo ritiro. A Suzuka, quel grido di rabbia rimbombante nel suo casco, accompagnato da un eloquente gesto del corpo, dice tutto.

E “Dan the Man”, se ne va. Cercando di raccogliere l’unica possibilità, chiamata Renault. Preferire un team meno competitivo ma dal clima decisamente più disteso. Se qualcuno, però, si fosse appassionato alla Formula 1 nelle ultime due stagioni, sicuramente non spenderebbe molte buone parole. La vittoria a Monza è un’isola circondata dall’abisso. Perché in questa Formula 1, quel sorriso raggiante e pieno di entusiasmo, non emerge più.

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