Clay, una gloria chiamata Monza

Nel 1970, Monza celebra un nuovo eroe. Clay Regazzoni, con la Ferrari, firma un successo leggendario in un fine settimana diviso tra dolore e gloria.

Il Gran Premio d’Italia del 1970 si macchia di dolore. Nella giornata di sabato, il 5 settembre, perde la vita il futuro campione postumo di quella stagione, Jochen Rindt. L’incidente è terribile, come tanti in quel decennio, e segna in modo indelebile gli animi dei piloti che, il giorno dopo, domenica 6 settembre, si schierano sul rettilineo di partenza del Tempio della Velocità.

Sotto un cielo limpido e luminoso, c’è chi inconsapevolmente, però, sta per scrivere la storia. C’è chi è al volante di una Ferrari 312 B, marchiata di un evidente numero 4 posto sul musetto. C’è chi, alla guida di questa Rossa, indossa un casco jet, un paio di occhialoni da moto e un sottocasco che ne cela il volto del pilota.

Quel giorno, l’uomo della gloria tricolore, porta il nome di Clay Regazzoni. Il 31enne ticinese è al suo quinto Gran Premio di Formula 1. E’ pronto ad affrontarlo sotto gli occhi di 150mila tifosi presenti in Autodromo, fra cui molti hanno preso posto persino tra le fessure dei tabelloni pubblicitari.

La Lotus, con la perdita del proprio campione, è assente. Sulla griglia di partenza si vede schierato Clay in terza posizione, davanti alla March di Stewart, e alle spalle della BRM di Pedro Rodriguez e la Ferrari di Jacky Ickx.

A metà gara, il belga è costretto al ritiro il cedimento della frizione, ma dalla tristezza di una vittoria mancata, ecco un sussulto: Regazzoni è in testa, seguito dall’ombra di Stewart, il campione in carica.

I due regalano allo storico tracciato brianzolo un duello coraggioso e aggressivo, fatto di staccate, traiettorie impensabili, accelerazioni controllate, cambiate ad orecchio… il tutto inserito in un gioco che solo il tracciato di Monza avrebbe saputo regalare.

Clay non molla, ma ecco un colpo di scena al 55esimo passaggio: Beltoise, con una staccata al limite in Parabolica, mette il muso della sua Matra davanti a tutti.

Sulle tribune piomba il silenzio. Un silenzio che abbraccia il Gran Premio per appena un giro, fino a quando il ferrarista non transita nuovamente in testa davanti ai box. L’ovazione è la colonna sonora di un momento straordinario. Per non farsi sopraggiungere, Clay percorre il rettilineo a pochi centimetri dal muretto box, riuscendo a interrompere il gioco di traiettorie di Stewart, staccandosi così sia da lui che da Beltoise.

Senza commettere la minima sbavatura, Regazzoni conduce la sua 312 B sino al traguardo, accompagnato dal caloroso e giustificato sostegno dei tifosi del Cavallino. E’ vincitore. Allo sventolio della bandiera a scacchi, ecco che la marea rossa invade il tracciato, urlando il nome del ticinese che viene sollevato dai tifosi e accompagnato sino al sotto podio più amato del mondiale.

Con quel trionfo, Regazzoni era entrato direttamente nel cuore degli appassionati, innamorati dei suoi modi, della sua simpatia, del suo gradire il contatto diretto con le persone senza mai deluderne le aspettative.

“Altri tempi”, avrebbe commentato Clay con quella parlata dall’accento svizzero. Già, altri tempi. Quelli di un mondo in cui i piloti non erano idoli irraggiungibili delle masse. Erano temerari, coraggiosi, campioni. Ma, soprattutto, uomini.

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