Febbre a 40

Dall’8 maggio 1982 sono trascorsi quarant’anni. Quaranta. Da quel tragico sabato di Zolder. Ma, da allora, il mito di Gilles non ha mai cessato di essere tramandato. E ricordato.

Quarant’anni. E la Febbre, quella per Gilles Villeneuve, non è ancora passata. Tramandata di padre in figlio, tramandata dalle immagini, dalle registrazioni, dai video che, oggi, grazie alla tecnologia e alla velocità concessa da internet, sono sempre più facili da reperire.

E’ così facile rivedere gli ultimi istanti di una vita spezzata troppo presto, di un pilota amato e messo spesso in discussione, di un genio “compreso” dai tuoi tifosi. Tifosi che sin dal suo esordio tra i grandi, si erano innamorati del suo stile, della sua “follia”, che altro non era che la voglia di ottenere il massimo da ogni mezzo. Impugnare il volante e conquistare il massimo risultato senza accontentarsi mai, ad ogni costo.

Su tre ruote, o con l’ala anteriore distrutta, non gli importava. La velocità era la sua aria, la monoposto il mezzo con qui respirare.

Impossibile non rimanere attoniti, increduli, di fronte a una Zandvoort ‘79, una Imola ‘80, in una Canada ‘81 o in una Digione ‘79. Impossibile non perdersi nel “coraggio leonino” di Gilles, come lo chiamava Mario Poltronieri. Impossibile non perdersi nel suo essere riuscito a vincere nonostante quando a disposizione aveva una vettura meno forte di altre.

Gilles era la grande scommessa di Enzo Ferrari. Un campione di motoslitte canadese chiamato a scrivere la storia del Cavallino dopo il capitolo Niki Lauda.

La storia, Gilles, la scrisse. Anche senza la “S” maiuscola, quella che avrebbe indicato la conquista del più alto traguardo…che non arrivò mai.

Eppure, non serviva l’entrata nell’Olimpo dei Campioni per l’ingresso nel cuore degli appassionati, curiosi, ogni fine settimana, di vedere quale altro spettacolo Gilles avrebbe regalato in pista. Il suo spazio, in Formula 1, è durato poco. Indirettamente proporzionale a quello occupato dal parlare che ci sarebbe stato di lui. Nel bene e nel male.

Dopo quell’ultimo tentativo di fare di più, dopo quella necessità di fare meglio di chi sentiva avergli fatto un “torto” pesantissimo. Dopo quell’ultimo volo, che gli fu fatale.

Le immagini dell’incidente del sabato di Zolder sono sdoganate quanto forti. Testimonianza degli ultimi attimi di vita di un pilota, prima di tutto essere umano. Ma, un’istantanea di quel tragico epilogo ha sempre catturato più di altre la mia attenzione. Una sublimazione della vita di Gilles. Il suo casco, rotola via.

Come a dire: “La sua storia ora se ne va. Per dare spazio alla sua leggenda”. Salut Gilles.

A proposito di Beatrice Frangione

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