Il rigore letale: il dramma sportivo del Deportivo La Coruna

I galiziani sono a un passo dal loro primo titolo: mentre il Barcellona, al Camp Nou, deve battere il Siviglia e sperare, al “Riazor” la palla non ne vuole sapere di entrare. E all’ultimo minuto…

 

di Stefano Ravaglia

 

Miroslav Dukic, come tutti coloro che sognano un giorno di giocare a calcio, lo avrà fatto almeno una volta. In un campetto, o in un cortile, con il suo pallone, avrà sistemato la sfera sull’asfalto immaginando di avere davanti una vera porta e intorno uno stadio effervescente in attesa della sua prodezza. “Questo è il calcio di rigore che può decidere il campionato… parte Dukic… ed è gol!”. Un sogno che il 14 maggio del 1994, nell’ultima giornata del campionato spagnolo di quella stagione, si trasforma in un incubo per il difensore serbo nato a Serbac, sulle rive del fiume Seva. Il Deportivo La Coruna, in quegli anni, è finalmente ritornato protagonista sulla scena nazionale. Nell’estate del 1988 la nuova dirigenza capeggiata da Augusto Cesar Leondoiro, già politico della città, eletto nel consiglio municipale e segretario per lo sport nel parlamento galiziano e senatore dal 1988 al 1990, rivolta come un calzino la squadra.

Il Deportivo ha infrastrutture fatiscenti e una situazione debitoria di circa 500-600 milioni di pesetas, che i nuovi proprietari risanano. La squadra si trova in seconda divisione, evita la retrocessione nella terza serie per poco, e ritorna in Liga nel 1991. Dopo la salvezza ottenuta un anno dopo, nell’estate del 1992 sbarca in Galizia un certo Bebeto, che da lì a due anni diventerà campione del mondo a Pasadena con il Brasile. Il centrocampista Mauro Silva ne segue le orme: approda in Spagna nello stesso anno e anch’egli sarà nella rosa iridata negli Stati Uniti. Bebeto, nel 1992-93, diventa pichichi della Liga con 29 reti, che il Depor chiude al terzo posto.

Stagione 1993-94: all’ultima giornata il Depor si gioca il titolo con il ”Dream Team”

Nella stagione 1993-94 il Deportivo La Coruna, allenato da Arsenio Iglesias, tecnico già giocatore del Deportivo dal 1951 al 1957 e che lo allenerà per tre quarti della sua carriera, va in testa in solitaria dopo quattordici giornate. La squadra, nell’arco del torneo, subisce pochissimo (saranno solo diciotto i gol subiti a fine torneo) e riesce a battere nettamente sia Barcellona (1-0) che Real Madrid (4-0) in casa propria, pur perdendo nelle gare al Bernabeu e al Camp Nou, due delle sole quattro sconfitte in tutto il campionato. Al club è stato ormai affibbiato il soprannome di Super Depor, e pare sia proprio l’anno buono per mettere finalmente in bacheca un titolo. C’è da sudare parecchio però: se i galiziani sono forti, il Barcellona campione in carica non è da meno.

E’ il “Dream Team” di Johan Crujiff, quello di Romario e Stoichkov, con Zubizarreta in porta e Guardiola a orchestrare a metà campo. Il Barça arriverà ad Atene, in finale di Coppa dei Campioni, dove le prenderà dal Milan di Capello. Quattro giorni prima, però, l’atto finale di un campionato vissuto punto a punto. All’ultimo turno la classifica dice Deportivo 55 e Barcellona 53. Con una vittoria interna contro il Valencia di Guus Hiddink e di Mijatovic e Mendieta in campo, i primi si aggiudicherebbero il loro primo scudetto.

Il Siviglia del compianto Luis Aragonés, è un avversario tutt’altro che arrendevole per i blaugrana: mentre i rivali sono inchiodati sullo 0-0, al Camp Nou gli ospiti vanno in vantaggio due volte: prima con Diego Simeone, sì, proprio l’attuale tecnico dell’Atletico Madrid, e poi, dopo il momentaneo pareggio di Stoichkov, è un’altra grande firma quella del 2-1: Davor Suker riporta avanti i suoi prima dell’intervallo. Le buone notizie in arrivo dalla Catalogna non scuotono il Depor, che ci prova ripetutamente, ma senza fortuna, anche a pochi passi dalla linea di porta. Nella ripresa, sale in cattedra il vero Barcellona: in venticinque minuti, ancora Stoichkov, poi Romario e Michael Laudrup, portano addirittura sul 4-2 i padroni di casa, che ribaltano il risultato. A tre minuti dal novantesimo, il quinto gol di Bakero è ininfluente. Tutta l’attenzione si sposta dalla parte opposta del paese, dove permane lo 0-0. E poco dopo, il Dio del calcio ci mette lo zampino. Nando, difensore del Deportivo, viene nettamente atterrato in area di rigore: Lopez Nieto non ha dubbi e concede la massima punizione. Con Bebeto che non se la sente di tirare, ecco che il sogno di Dukic potrebbe realizzarsi. Se il difensore segnerà, al netto di clamorosi e improbabili ribaltoni nei minuti di recupero, i padroni di casa otterranno la vittoria decisiva per il titolo, un po’ come due anni dopo in America, quando Roberto Baggio calcerà alto il rigore che darà il titolo al Brasile di Bebeto. La conclusione di Dukic è invece da museo degli orrori: fiacca e per nulla angolata. L’ovvia conseguenza è la comoda parata di Gonzalez e l’urlo delle migliaia di tifosi sugli spalti ricacciato in gola.

Al triplice fischio, il dramma è compiuto: il titolo del Deportivo era lì a undici metri, ed è volato via. Dukic cade a terra sconsolato, i tifosi invadono il campo ma non certo per prendersela con lui. Al contrario, corrono ad abbracciarlo. Il Deportivo La Coruna, nella stagione successiva, vincerà la sua prima coppa di Spagna e Dukic resterà in maglia biancoblu sino al 1997. Bisognerà aspettare la stagione 1999-2000 per vedere il Deportivo La Coruna di Irureta in panchina e di Makaay, Djalminha e Flavio Conceiçao in campo, vincere finalmente il titolo. Dukic, come detto, non era più in squadra. Nella stagione 2001-02 anche lui riuscirà a colmare la lacuna vincendo il campionato. Con la maglia del Valencia.

 

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